Gesù ci chiama all’azione: nessuno può tenere nascosti i propri talenti

Letture del 13 novembre, 33ª domenica del tempo ordinario: «La donna perfetta lavora volentieri con le sue mani» (Pro 31,10-13.19-20.30-31); «Beato chi cammina nelle vie del Signore» (Salmo 127); «Come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore» (1 Ts 5,1-6); «Sei stato fedele nel poco: prendi parte alla gioia del tuo padrone» (Mt 25,14-30)

a cura della COMUNITA’ DI SAN LEOLINO Siamo chiamati alla vita da Dio che ci ama: è questa la semplice e vibrante verità che scaturisce dal Vangelo annunciato da Gesù durante la sua missione sulla terra. Ma quante volte questa convinzione si concretizza, tutto sommato, nell’idea di un creatore bonario che alla fine metterà a posto tutte le cose, ivi compresa la nostra pigrizia. Nella loro buona coscienza, infatti, molte persone affermano di essere sicure di andare in cielo, perché non hanno mai fatto del male a Dio. Tutti, in una parola, possiamo essere tentati da ciò che i padri spirituali chiamano lassismo. Eppure, questo stato di torpore rivela disprezzo per il Signore e scarsa consapevolezza della nostra grave responsabilità. Così, la parola di Dio che oggi ascoltiamo, in linea con gli insegnamenti di Gesù sulla fede, è un forte monito a chi si abbandona al lassismo nella propria vita e nella propria fede. Anche Matteo, nel Vangelo, non si stanca di sollecitare i cristiani sulla via delle beatitudini poiché l’incontro con Gesù è sempre un incontro di conversione. L’ascolto della sua Parola, un ascolto autentico e sincero, deve portare dei buoni frutti. Infatti, Gesù racconta la parabola dei talenti a Gerusalemme e dopo essere entrato trionfalmente tra le acclamazioni della gente nella città santa. Forse i suoi discepoli pensarono per un attimo che quella fosse l’occasione buona perché Gesù prendesse il potere della città. Invece, con questa trasparente parabola, Gesù annunciò definitivamente che non aveva nessuna intenzione di diventare il capo politico della nazione. Piuttosto, Egli sarebbe «partito per un viaggio», da cui sarebbe tornato «dopo molto tempo». Durante il tempo della sua assenza, ognuno avrebbe dovuto vivere la sua vita, e cioè far fruttificare i propri talenti, secondo i suoi insegnamenti e il suo esempio fino a rendere conto a lui, alla fine, delle proprie scelte. Stabilisce così una ben precisa identità della vita cristiana. Gesù testimonia con la vita il valore dell’azione, della feconda operosità. Lui non sarà mai un asceta indiano, seduto a gambe incrociate, sotto una palma. Di fatto, avvicina la gente, chiama gli apostoli, guarisce i malati, predica dovunque, cammina per chilometri perché molti possano ascoltare la sua buona novella. I suoi discepoli e discepole devono fare altrettanto, se hanno ben capito il suo annuncio. Gesù sa bene che ogni persona deve faticare nella vita e nella storia in cui si trova a vivere, dal momento che Dio ha affidato a ogni uomo la missione di rendere il mondo più buono e più bello. E il mondo non è mai andato avanti da solo: è stato spinto avanti dagli uomini migliori, e cioè dagli uomini che ritengono la vita un vero dono di Dio. In realtà, questa parabola evangelica di Gesù è di un’attualità impressionante: l’enfasi della cultura contemporanea sull’individualità, sulla libertà – pur essendo conquiste buone, ma spesso prive di discernimento – fanno pensare a molti che la vita è «una cosa loro», un loro esclusivo possesso che non deve riguardare nessuno. Così chiudono gli occhi e il cuore di fronte alla vita che li circonda, ai bisogni che premono da ogni parte.

Al contrario, Gesù ha detto che la vita è un tempo datoci da Dio e nel quale far fruttificare i talenti. Di questi talenti renderemo un giorno conto: nessuna vita è una totale riuscita o un totale fallimento. Ogni giorno mescoliamo nel nostro cuore bene e male, coraggio e vigliaccheria. Un talento frutta, un altro perde valore. E tuttavia, Dio ci chiede di coltivare, di faticare, ma anche di gioire perché la nostra vita sia una bella opera d’arte: «Beato chi cammina nelle vie del Signore», canta il salmista, in un grido che celebra la felicità di chi è fedele a Dio nella sua vita.