Gesù ci aiuta a vincere la frustrazione del seminatore

Letture del 10 luglio, 15ª domenica del Tempo ordinario: «La pioggia fa germogliare la terra» (Is 55,10-11); «Visita la terra, Signore, e benedici i suoi germogli» (Salmo 64); «La creazione attende la rivelazione dei figli di Dio» (Rm 8,18-23); «Il seminatore usci a seminare» (Mt 13,1-23).

a cura della COMUNITA’ DI SAN LEONINOQuanti cristiani, sacerdoti e religiosi, vivono oggi nell’angoscia e nella frustrazione. Hanno tentato di trasmettere la fede di cui vivono con generosità e disinteresse, ma hanno l’impressione che il «mondo» sia, dopo tutto, più forte della loro evangelizzazione. Ostacoli sono sorti da tutte le parti, impedendo alla parola evangelica di germogliare realmente: ostacoli in se stessi, poiché hanno l’impressione di aver seminato male; ostacoli legati alla cultura in cui viviamo, così tenacemente e sottilmente contraria ai valori della buona novella; ostacoli, infine, in coloro ai quali si sono rivolti. Questi cristiani, forse, come sempre nella storia della Chiesa, avevano intrapreso con entusiasmo e perfino con il dono della loro vita il loro impegno evangelizzatore, ma tale impegno si è rivelato spesso fonte di delusioni e rimpianti. Con la parabola celebre del seminatore (Mt 13,1-23), Gesù invita ad ascoltare soprattutto lui e non già le nostre, pur comprensibili, delusioni e frustrazioni! Lui stesso non si faceva illusioni. Venuto fra noi a conclusione di una lunga storia di amore e di redenzione, conosceva assai bene la lentezza del cammino della Parola divina che è parola di verità e di amore. Non delirio di espressioni che vogliono convincere e manipolare. Sapeva bene che il suo messaggio era e sarebbe rimasto lungamente incompreso a motivo di Satana che «divora» il buon seme caduto nei nostri cuori, mentre, come capiamo da altri passi del Vangelo, proprio Satana porta nel nostro cuore il tarlo del dubbio ossia l’incapacità di comprendere e accettare la via della Croce.

Gesù, inoltre, accenna a quei cristiani che sono diventati tali per avere più prestigio e autorità. Ma si accorgono, a un certo punto, di aver sbagliato e tornano indietro o, almeno, tornano alla mediocrità di sempre, con un piede di qua e con un piede di là. Altri, sono soggiogati dalla bellezza della Parola, ma non si rendono conto che essa deve essere accolta con un amore «personale» verso Gesù poiché solo l’amore per lui permette di conservarla anche nei momenti di crisi, nelle persecuzioni. Infine, l’immagine delle spine è la più eloquente di tutta la parabola: l’egoismo, ben alimentato oggi dalla cultura dell’avere e del potere, ivi compresa l’ossessione del piacere, soffoca ogni slancio autentico del cuore che chiede di donarsi e non di rinchiudersi in se stesso.

Gesù, nonostante tutto, invita alla fiducia e a vivere questa fiducia con adesione più intima a lui: la Parola, pur essendo divina, si adatta alle condizioni del terreno, cioè accetta le risposte che ognuno di noi dà all’invito di Gesù. A poco a poco il grano germoglierà e una sorprendente mietitura un giorno farà dimenticare la semente perduta, così come la pioggia e la neve non sono mai inefficaci quando incontrano la buona terra. Paolo stesso, nello splendido brano della Lettera ai Romani (8,22), perseguitato e carico di fallimenti, vive di questa fiducia che Gesù gli ha comunicato: «sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo».

Sì, vivere la fiducia in Gesù è la spiritualità più vera dell’evangelizzatore poiché egli imparerà, sia pure a poco a poco, la prodigalità di un Dio che non teme di «seminare» in tutti i terreni possibili. Alla fine, questo seme porterà di certo i suoi frutti, come dimostra la vita della Chiesa, tra l’altro, nei suoi santi e sante di ogni tempo e cultura.