Fame di chi e di che cosa?
1. Un deserto, la città santa e un monte altissimo costituiscono i luoghi del primo appuntamento quaresimale con il Tu di nome Gesù. Il primo di tali luoghi è una zona desertica e montuosa di Giuda in cui Gesù è stato trasportato dalla piana del Giordano subito dopo il battesimo. Un volo sospinto dal vento dello Spirito (Mt 4,1), il verbo «condurre» infatti equivale a sollevare e rimanda all’Israele condotto nel deserto come «su ali di aquila» (Es 19,4). Un ingresso accompagnato dal digiuno: «Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame» (Mt 4,2). Aspetti che meritano di essere sottolineati. Nella tradizione biblica silenzio e distanza dall’affanno delle cose sono un preliminare inevitabile per discernere in verità le fami reali che dimorano nel profondo dell’uomo, singolo e comunità. Esperienza vissuta da Israele (Dt 8,2) e fatta propria da Gesù sospinto nel deserto e nel digiuno per percepire bene e per dare il nome alle sue fami e ai cibi che possono nutrirle. È un dato di fatto che l’uomo prigioniero del rumore e chiuso nella sua sazietà finisce per impedirsi all’ascolto della propria interiorità e delle seti che la abitano, e quindi alla domanda, alla ricerca, all’invocazione e all’attesa. Solo il digiuno da questa unidimensionalità che rende ottusi può aprire la mente alla molteplicità delle fami e al leggerle alla luce di una precisa gerarchia. A questo inizia a introdurre la prima tentazione di Gesù avvicinato da «colui che distoglie» (Mt 4,3) dalle vere fami e dalle vere risposte, il tentatore-seduttore con i suoi suggerimenti.
2. Il primo suggerimento recita così : «Dì che queste pietre diventino pane» (Mt 4,3). Per capire bene il tenore di questa proposta bisogna porre attenzione alla risposta di Gesù: «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4).La posta in gioco è evidente: nel tempo della penuria a chi ci si affida? A ciò che «entra nella bocca dell’uomo» (Mt 15,11) o a «ciò che esce dalla bocca di Dio?». Il riferimento a Deuteronomio 8,3 rimanda alla esperienza di Israele nel deserto e nella fame tra nostalgia di cipolle e di carne assicurati, al prezzo di una condizione servile, e il coraggio di proseguire il cammino verso la sponda della libertà e del servizio sul fondamento della parola di un Tu che non priva della manciata quotidiana di manna.
Gesù rivive questa esperienza di deserto e di fame per proclamare nel giorno della assenza di pane, da una situazione quindi non sospetta, il primato della fame del pane della parola. È questa la ragione ultima che dischiude la vita al senso nel giorno della abbondanza e in quello della scarsità, e che apre alla conoscenza di un Dio che non priva del pane quotidiano (Mt 6,11.33) gli affamati della sua giustizia (Mt 5,6).Si tratta di stabilire una gerarchia delle fami a partire dalla prima: «Mio cibo è fare la volontà del Padre» (Gv 4,34), alla quale sta a cuore il necessario di ogni giorno ma non la riduzione dell’uomo a «solo pane», a solo avere. E alla luce della categoria della fame possiamo leggere anche le altre due tentazioni.
Nella seconda «Colui che distoglie» porta Gesù sul pinnacolo («piccola ala») del tempio di Gerusalemme: «Gettati giù» (Mt 4,6), e gli angeli ti faranno dolcemente planare (Mt 4,6; cf Sal 91,11-12) sulle loro piccole ali. Immediata la risposta di Gesù: «Non metterai alla prova il Signore tuo Dio» (Mt 4,7; cf Es 17,2-7; Nm 14.22; Sal 78,18).
Quì si incrociano due fami. Quella di una religiosità spettacolare e miracolistica in grado di attrarre le folle chiamando Dio a sua giustificazione, e quella di Gesù di rifiutarsi all’uso strumentale di un Dio al quale è straniera la sovraesposizione di sé al fine di sedurre la piazza. Il rapporto Gesù-Padre è nell’ordine della parola-ascolto quotidiani e così quello dei suoi.
Nella terza tentazione infine (Mt 4,8-10) «Colui che divide e possiede» porta Gesù su un monte altissimo, gli mostra il mondo e gli offre il dominio politico sul mondo in cambio dell’abbandono del suo Dio e della via del suo Dio. Gesù si rifiuta al morso del potere preferendogli la fame del suo Dio e della sua via che non contempla messianismi politici di sorta, ma la via dell’amore nella libertà fino alla Croce: «Vattene il Signore, Dio tuo, adorerai» (Mt 4,10; Cf Dt 6,13).
3. «Se tu sei Figlio di Dio» (Mt 4,3.6).Le tentazioni seguono il battesimo, in cui Gesù è stato proclamato «Figlio» (Mt 3,17) e riferiscono il come declinare tale filialità. La cosa riguarda molto da vicino i battezzati chiamati a contemplare in Gesù il come non vivere e il come vivere il proprio battesimo.
Il vocabolario dei primati dell’avere, dell’apparire e del dominare non è adatto a coniugare la filialità, lo è quello del sapersi figli amati da un Padre adorato, ascoltato e mai messo alla prova. Questa è la grande fame che deve contraddistinguere il discepolo e suo cibo è, appunto, la resa al lasciarsi amare da Dio e al lasciarsi guidare dalla parola di Dio in ogni situazione di vita. A questa prova non si può sfuggire e, al pari di Gesù, siamo chiamati a scegliere tra più amori: Dio e la sua parola, la merce, l’ostentazione religiosa, il potere sugli altri e la loro parola. Da questo dipende il come scriviamo il libro della vita, dalla fame che ci abita e dal cibo che ci nutre.