«Effatà»: così Gesù apre occhi e orecchi
Gesù guarisce un sordomuto o, più esattamente, un sordo che parla a fatica, che si esprime in modo disarticolato e incomprensibile.
Per il profeta Isaia (35,5-6), sordo-balbuziente è il popolo d’Israele. Ma il malato presentato a Gesù, essendo un pagano, rappresenta ogni uomo che non ha incontrato Cristo e insieme ogni uomo duro d’orecchi rispetto alla parola di Dio.
Siamo in pieno territorio della Decàpoli e quindi in una terra pagana e questo dice con chiarezza che Gesù apre il campo della rivelazione a tutta l’umanità ed è presente anche là dove lo immaginiamo assente.
Il Signore Gesù, il Salvatore degli uomini, è presente in tutte le «terre dissacrate», in tutte le «situazioni bruciate dal peccato». Egli è presente anche in quella parte di noi stessi che è ancora pagana: è presente in quella Decàpoli che tutti ancora abbiamo nel cuore.
Il sordomuto è condotto a Gesù dagli altri e sono gli altri a pregare per lui. Quanto è importante che ognuno di noi si faccia carico dei bisogni altrui e diventi la mano che conduce e la voce che implora! E come dobbiamo ringraziare per i fratelli e le sorelle, che ci conducono a Cristo e pregano per noi!
Gesù non opera miracoli-spettacolo, per questo prende il sordomuto da parte, lontano dalla folla, e realizza la difficile mediazione fra la discrezione (contro ogni mondana pubblicità e ogni forma di propaganda) e l’offerta di un aiuto efficace.
I due contatti fisici (orecchi e lingua) formano l’introduzione per uno sguardo al Padre (ogni miracolo che Gesù compie è un’azione del Padre attraverso di lui): guardando verso il cielo emise un sospiro: questo sospiro suggerisce una interna pienezza di Spirito Santo.
E disse: «Effatà», cioè «Àpriti». Una parola, che è segno per la guarigione fisica, ma, ancora di più, operazione di grazia, segno e promessa di grazia per Israele e per l’umanità. Il gesto di toccare gli orecchi con un po’ di saliva e soprattutto la famosa parola aramaica «Effatà» vengono ripetuti ad ogni battesimo. In ogni battesimo è consegnata la gioia non solo di essere chiamato, ma di essere realmente «figlio».
Sant’Efrem commenta: «Il sordomuto guarito dal Cristo sentì le sue dita di carne toccargli le orecchie e la lingua. Ma quando la sua lingua si sciolse e le sue orecchie si aprirono, attraverso quelle dita accessibili ai suoi sensi, egli raggiunse la divinità inaccessibile. Lo stesso artefice del suo corpo era venuto a lui; l’aveva trovato sordo, e con voce dolce, senza il minimo dolore, gli aveva aperto le orecchie; e subito dalla sua gola occlusa, incapace di far passare la voce, era sgorgata la lode di colui che con una parola l’aveva guarito».
La finale del racconto evangelico – non dirlo a nessuno – evoca ancora una volta il cosiddetto «segreto messianico». Esso ha la funzione di evitare entusiasmi inopportuni e fraintendimenti e conduce il discepolo a cogliere progressivamente il mistero profondo che si nasconde proprio in questo uomo straordinario e imprevedibile che è Gesù di Nazareth.
Ma il «segreto» è destinato a sfociare nella «proclamazione» che si concretizza nelle parole che, pieni di stupore, tutti ripetono: «Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!». Proclamazione ancora imperfetta e provvisoria, ma che anticipa la professione di piena fede della comunità cristiana impersonata dal centurione ai piedi della croce: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio» (Mc 15,39).
* Cardinale