Divenire grandi

23 settembre, 25ª domenica del Tempo ordinario. Letture: Sap 2,12.17-20; Gc 3,16-4,3; Mc 9,30-37. «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti

di GIANCARLO BRUNI

Eremo delle Stinche – Panzano in Chianti

1. La creatura umana abituata a sostare nella propria interiorità diviene sempre più capace di dare il nome ai desideri profondi che la abitano, e tra questi la brama non sempre confessata del primeggiare, la corsa ai posti che danno potere, successo e notorietà. A questo ordine di pensieri offre frammenti decisivi di luce la pagina evangelica odierna, introdotta da un lato dal secondo annuncio di passione: «Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato», e dall’altro dalla  costatazione che: «essi, i discepoli, non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni» (Mc 9,31-32). L’evangelista annota con cura la distanza che intercorre tra i pensieri di Gesù e quelli dei suoi pur percorrendo la stessa «via», termine in Marco metafora della sequela, del camminare con Gesù dietro a Gesù. Un fare strada insieme al momento contraddistinto da due visioni antitetiche della messianicità. Di fatto gli occhi e gli orecchi dei discepoli sono ciechi e sordi (Mc 4,12; 8,18.33) a capire Gesù, il consegnato dalle mani del Padre a un mondo amato per farne in lui un mondo nuovo, come il consegnato dalle mani dell’uomo a una morte ignominiosa. Un Gesù ridotto a «cosa» consegnato da Giuda ai sommi sacerdoti (Mc 14,10), da costoro a Pilato (Mc 15,1.10) e da quest’ultimo ai soldati (Mc 15,15). Per Pietro (Mc 8,32), per i figli di Zebedeo (Mc 10,35-40) e per i discepoli in genere lunga è la strada che porta a una lettura della messianicità in sintonia con le figure bibliche del Figlio dell’uomo (Dn 7,13), del Servo sofferente (Is 52,13-53,12) e del Giusto condannato a una morte infame (Sap 2,12-20). Una lettura che, come avvertono gli stessi discepoli, necessita di supplementi di spiegazione volutamente sottaciuti per timore di trovarsi di fronte a un messaggio troppo duro (Mc 9,32). Al momento essi restano abbarbicati alla loro visione e alle conseguenze che ne derivano: preso il potere da parte di Gesù chi siederà alla sua destra e alla sua sinistra? (Mc 10,37), chi saranno i primi ministri del suo regno?

2. E così mentre Gesù annunciava la sua passione i discepoli discutevano per via su: «Chi tra di loro fosse il più grande» (Mc 9,34), il primo, silenziosi dinanzi alla esplicita domanda di Gesù: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?» (Mc 9,33). Il tacere di chi si vergogna di uscire allo scoperto esponendo apertamente la ragione di un conflitto presente tra i Dodici come nella comunità di Marco e in quelle di ogni luogo e tempo. Questione dinanzi alla quale è bene tacere dando spazio alla parola di Gesù, una parola pronunciata in «casa», metafora del rapporto intimo e amicale con Gesù. Ieri come oggi egli si siede dinanzi ai suoi e dice a tutti ciò che ha detto ai Dodici: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo e servo di tutti. E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato» (Mc 9,35-37). Passaggio di rara preziosità in cui Gesù dice ai suoi ciò che egli è e fa: è il Figlio venuto a servire e a dare la vita (Mc 10,45), è il Maestro e Signore venuto quale schiavo a lavare i piedi (Gv 13,13-15), è il primo di natura divina che ha spogliato se stesso assumendo la forma e la condizione umane dell’ultimo  (Fil 2,6-7), è il ricco divenuto povero (2 Cor 8,9). Per Gesù essere il primo vuol dire essere il servo di tutti da una posizione povera di rilevanza mondana, servo che elegge a primi della sua cura gli ultimi qui rappresentati dai bambini, i poveri per eccellenza nel loro essere totale dipendenza. Questo è il primato da ricercare, di esso Gesù in croce è adempiuta esegesi, spiegazione.

3. L’insegnamento è chiaro. A nessuno è richiesto di negare e di negarsi al desiderio di divenire il primo avvertiti del fatto che dietro questa affermazione, se rettamente intesa, si nasconde la legittima ambizione del divenire semplicemente se stessi, la propria verità. Ove ciò accade lì ciascuno è davvero una primizia unica e irripetibile, non secondo a nessuno e non gregario di nessuno. Una primizia, suggerisce Gesù, non posseduta dal demone della prepotenza che rende sudditi gli altri, che mette i piedi in testa agli altri e che toglie il respiro agli altri. Ma posseduta dallo spirito del servizio che soffia all’orecchio della mente la giusta posizione da assumere nella vita, l’ultima, e ancora gli amici primi da accogliere e da servire nella vita, gli ultimi, ai quali Cristo stesso si è identificato (Mc 9,37) elevandoli a rango di sacramento della sua presenza. Spirito di servizio che infine soffia alla nostra mente la lettura di sé come luoghi attraverso cui Cristo continua ad essere l’abbraccio di Dio ai poveri della terra: «Sapendo queste cose, sarete beati, se le metterete in pratica» (Gv 13,17). A questa grandezza chiama Colui che fa cose meravigliose nei suoi umili servi (Lc 1,49).