Dio usa anche la forza ma ci lascia lo spazio per il pentimento

20 luglio,16ª domenica del Tempo Ordinario: «Tu concedi la possibilità di pentirsi dei peccati» (Sap 12,13.16-19); «u sei buono, Signore, e ci perdoni» (Salmo 85); «Lo spirito intecede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili» (Rm 8,26-27); «Lasciate che l’una e l’altra crescano insieme fino alla mietitura» (Mt 13,24-43)

DI MARCO PRATESI

Il libro della Sapienza si sofferma a considerare il comportamento di Dio nei confronti dei Cananei, i popoli pagani che Israele ha trovato in Palestina al momento del suo ingresso nella terra promessa. Dio ha agito con essi, pur idolatri e peccatori, con moderazione e indulgenza. Perché? L’autore cerca di trarne una lezione, presentata parzialmente nel nostro passo.

Egli esclude che si tratti di moderazione dovuta a necessità, come se a fronte di Dio esistesse un contropotere in grado di valere come istanza alternativa e come deterrente: «non certo per timore di qualcuno tu hai lasciato impunite le loro opere» (12,11). Poiché una tale forza non esiste affatto, il comportamento indulgente di Dio è dovuto unicamente a una sua liberissima scelta, e corrisponde quindi in pieno al suo modo di essere. Ora, questa sua potenza che non conosce limitazioni potrebbe dilagare in modo assoluto, travolgendo inesorabilmente ogni male nel mondo, ogni cosa contraria. O almeno così ci si aspetterebbe. L’uomo, infatti, quando dispone di un potere non adeguatamente bilanciato da contropoteri, tende sempre a farlo valere fino ad abusarne. In Dio invece accade l’opposto. Proprio perché il suo potere è assoluto, esso è magnanimo: «il fatto che sei padrone di tutti, ti rende indulgente con tutti» (v. 16); «ci governi con molta indulgenza, perché il potere puoi esercitarlo quando ti pare» (v. 18). In questo senso l’autore afferma: «il principio della tua giustizia è la tua forza» (v. 16), dove «giustizia» è il modo con cui Dio amministra le cose, e corrisponde alla sua «sapienza», che l’uomo deve acquisire per essergli gradito, ossia per essere in comunione con lui. La bontà è espressione di forza, non di debolezza.

Certo, Dio usa anche la forza, e la realtà resiste contro chi pretende di manipolarla a proprio arbitrio. Secondo un’affermazione caratteristica dello stesso autore, si è puniti proprio da e in ciò in cui si pecca. Questo impiego della forza è comunque sempre volto alla correzione, quando altri più miti argomenti non siano recepiti: «Mostri la tua forza quando non si crede nella pienezza del tuo potere» (v. 17), perché sia messo un salutare limite all’insolenza dell’uomo, disastrosa non solo per lui, ma per tutti e tutto (oggi lo si vede bene). Si tratta sempre di una correzione in vista del pentimento.

La lezione per l’uomo che sa apprenderla, il sapiente, è duplice. Prima di tutto si apprende che «il giusto deve amare gli uomini» (v. 19). Se Dio è giusto in questo modo, chi voglia essere giusto ai suoi occhi deve esserlo in questo modo, ossia essendo «filantropo» (che brutta sorte ha avuto questa parola). In secondo luogo, si tira un sospiro di sollievo: ci è data la fondata speranza che, dopo i peccati, Dio ci concede lo spazio necessario per il pentimento (ibidem): spatium verae et fructuosae poenitentiae. Grazie a Dio.

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