Dio non si stanca di seminare
La liturgia di questa domenica ci fa meditare una delle parabole più belle che si trova al capitolo 13° di Matteo, quello detto delle parabole.
Il seminatore uscì a seminare. Chi ascolta con attenzione e predisposizione interiore la Parola di Dio non può restare indifferente. La parola di Dio, tocca cuore e mente e modifica radicalmente.
La parabola del seminatore mette in questione tre tipi di semi e di terreno che non danno frutto, mentre il quarto tipo di terreno è quello buono che dà frutto. La parabola del seminatore ha un solo interesse: il seme gettato senza calcoli e senza ristrettezze. Il seminatore non sta lì a guardare dove semina; è generoso e in questa semina nessuno è escluso, tutti siamo campo di Dio.
Una parte del grano cadde sulla strada. Questi semi sono facilmente visibili agli uccelli. Facilmente calpestati da chi passa, a primo impatto ci si chiede come mai Gesù sembra cosi distratto da perdere i semi?
Un’altra parte cadde su terreno sassoso. Qui non vi era molta terra. E non avendo terra per metter radici il caldo o l’acqua prendono il sopravvento, qualcosa nasce, ma poi muore perché non ha la forza. Non ha possibilità di continuare. La parola del Signore attecchisce ma a volte resta in superficie.
Un’altra parte cadde sui rovi. Le spine, i rovi tendono a soffocare, e anche qui il seme potrebbe crescere, radicarsi, ma viene soffocato prima di maturare.
Sembra che finora la missione di Gesù sia stata fallimentare, tra chi non vuole accogliere la parola e se la lascia rubare, tra chi la accoglie ascolta e poi se la lascia morire perché non la fa crescere e, chi la accoglie ma poi la soffoca con tante altre cose che confondono e fanno morire il seme. Il contadino, il seminatore, ha voluto gettare la semente, ha desiderato elargire senza calcolare. No, la Parola non è per niente ingenua continua a illuminare, anche se cade sulla pietra, sull’asfalto.
L’uomo, per Dio, resta sempre terreno adatto per piantare la sua Parola. Ronchi, in una intervista scrive: «Ma quante volte ho rallentato il corso del miracolo! Io che sono strada, io che sono campo di pietre e sassi, io che sono groviglio di spine, cuore calpestato, superficie di pietra, che coltivo spine e radici di veleno». A volte, senza accorgerci, rallentiamo il suo amore. Ma oggi siamo chiamati a rafforzare il nostro passo.
Un’altra parte cadde nella terra buona. Dio continua a seminare senza sosta. Contro tutti i rovi e le spine, contro tutti i sassi e le strade, trova sempre una terra capace di accogliere e fiorire, dove il piccolo germoglio alla fine vincerà.
Mi commuove questo Dio che non si stanca di seminare.
Allora i discepoli chiedono: come mai parli loro in parabole. I discepoli hanno fede, si fidano, sono disposti ad accogliere allora chiedono. A chi ama, è dato in sovrabbondanza, perché l’amore non si risparmia. Chi non ha desiderato quest’amore, non riceve il dono. Chi si crede autosufficiente, chi si crede arrivato, beh neanche un dono del Signore è gradito, no? Sembrano parole dure quelle di Gesù quando dice a voi, discepoli beati. La parabola sembra essere riservata ai discepoli perché si riconoscano nei vari terreni, questa parola è per tutti noi. Oggi siamo chiamati a guardare quali sono le nostre resistenze, in quale terreno siamo collocati, non per abbatterci, ma per farci aiutare a estirpare e ripulire il nostro terreno. Noi siamo il campo di Dio e Gesù è il seme seminato nel nostro cuore.
Chi non capisce questo non può intendere il resto. Gesù ordina al discepolo di ascoltarlo.
San Giovanni Paolo II così un giorno scrisse: «La Parola del Signore deve essere prima di tutto vissuta. Essa deve penetrare in tutti gli spazi dove l’uomo vive e lavora. Affinché ciò possa avvenire, la Chiesa è chiamata a predicarla con forza e chiarezza(…).Invito i pastori e i fedeli a fare della Bibbia il loro quotidiano nutrimento spirituale. Li esorto a meditare e pregare con le parola della Sacra Scrittura, che accanto all’Eucarestia, deve costituire il centro della vita ecclesiale e familiare».
Lasciamo che la Parola attecchisca in noi per essere frutto maturo nel giardino della Chiesa.
Suor Tiziana Chiara