Dio è paziente, non vendicativo

Nel commento di domenica scorsa invitai a fare o a tentare di fare una lettura della rinuncia del Papa al ministero petrino alla luce della fede. In pratica avremmo dovuto chiederci «cosa Dio vuol dirci con questo fatto». Oggi è Gesù stesso che invita tutti noi a fare altrettanto di fronte agli eventi della vita, soprattutto quando si presentano carichi di enorme sofferenza. Tra questi il vangelo ne riferisce due: uno provocato dall’uso cruento del potere, l’altro dall’irrazionalità delle forze della natura che colpiscono in modo indiscriminato le persone. Come ai tempi di Gesù anche a noi capita spesso di interrogarci di fronte a fatti particolarmente tragici e di rivolgerci a Dio. Il vangelo ci dice che «alcuni» riferiscono a Gesù di un fatto particolarmente truce e sacrilego. Pilato, evidentemente per domare una rivolta, non si perita a intervenire nel tempio uccidendo i rivoltosi, lasciando che il loro sangue si mescolasse a quello dei sacrifici. Un fatto deprecabile sul quale si vuol sentire il giudizio di Gesù. Sorprendentemente, invece, il Maestro non risponde e non dà giudizi sull’accaduto, ma invita i suoi scandalizzati interlocutori a leggere l’evento in modo più profondo, a chiedersi cioè, se quel fatto non dovesse essere visto come un richiamo di Dio alla conversione rivolto a tutti. E, quasi a completare i casi di perplessità di fronte alla violenza, di propria iniziativa Gesù porta il caso delle diciotto persone rimaste schiacciate dalla torre franata su di loro.

Gli interlocutori di Gesù, pur senza esprimerla, hanno una precisa opinione circa coloro che si trovano coinvolti in gravi disgrazie. Essi ritengono che ciò accada loro come punizione divina per i peccati commessi. Gesù nega in modo fermo che possa essere questo l’insegnamento da trarre da quei due eventi. Lo dice con una domanda, ripetuta ben due volte: «credete che fossero più colpevoli di tutti gli altri?…», affermando con chiarezza che Dio non si vendica per il male commesso dai suoi figli. Le disgrazie che accadono, dice Gesù, sono un invito per tutti a riflettere sulla nostra vita, a verificare se davvero è indirizzata verso Dio.

La risposta del Maestro non si ferma qui. Ma per far comprendere bene che Dio non è un Dio che si vendica, racconta la breve parabola del fico improduttivo. Il fico rappresenta il popolo di Israele, ma anche tutti noi, quando non portiamo frutti di conversione. Il vignaiolo rappresenta Gesù che è venuto per salvare gli uomini. Il padrone del terreno dove è piantato il fico rappresenta Dio. Di fronte alla decisione del padrone di tagliare il fico per la sua ripetuta infruttuosità, interviene il vignaiolo: «Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai». Qui termina la parabola lasciando in noi la dolcezza e la speranza di quell’«anno» a disposizione per la nostra conversione. «Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva». Dio è amore, amore durevole, amore che sa attendere: è questa la «pazienza» di Dio che contiene in sé anche un altro grande valore. Un valore di fronte al quale dovremmo riprendere coraggio, perché la pazienza di Dio mostra che Egli ha fiducia in noi. E se è Lui ad avere fiducia in noi, perché noi disperiamo? Non dimentichiamo che la disperazione è una bestemmia, perché nega che Dio è amore.

Il vangelo di oggi, pur breve, dovrebbe essere per ciascuno di noi una bella iniezione di speranza e di gioia. Dio è grande e «lungo» nell’ amare, non si vendica, non punisce, ma chiama tutti a tornare a Lui con fiducia perché Egli è nostro Padre. Uno dei modi attraverso i quali possiamo mostrare a noi stessi che stiamo tornando a Lui, è quello di assumere l’atteggiamento di un «grande e lungo amare» nei confronti dei fratelli e delle sorelle con i quali viviamo. «Lasciamo loro ancora un anno», come Dio lo lascia a noi e, allora, siamo certi che l’anno lasciato a noi da Dio, non sarà stato invano.