Diciamo a Gesù la verità di noi stessi

«Gli si radunò  attorno molta folla». Discepoli e curiosi, sani e malati. Anche tu sei in mezzo  e Lui, il Maestro, ti vede. Impara dalla donna malata e da Giàiro.

La donna è in mezzo alla folla assiepata  attorno a Gesù.  Per quello che ha sentito dire del Rabbi di Galilea e per quello che forse lei stessa ha visto, ha nel cuore una certezza: «Se riuscirò a toccare anche solo le sue vesti, sarò salvata». Secondo la Legge (Lev 15,19-30), durante le mestruazioni la donna è ritualmente impura e rende impuro ciò che tocca: vive perciò in uno stato di segregazione sociale e religiosa. Ma la donna, nella ressa della gente, ha un  unico obiettivo: «toccare il lembo del mantello» (Lc 8,44) del Maestro.

Sfòrzati di comprendere questa donna ferita nella sua femminilità, nella sua identità personale, che affronta tutti  i rischi, perché ha la certezza che da  Gesù, ella può ricevere tutto: può ricevere la libertà di essere  se stessa senza vergogna.

La donna col suo gesto furtivo sembra dire a Gesù: «Ci sono anch’io…».

E Gesù, fermandosi e chiamandola allo scoperto,  la rassicura: «Ci sei soltanto tu!».

Lui non ha paura dei tabù, delle miserie più nascoste, delle cose di cui ci vergogniamo dinanzi agli altri.

La donna, «riconosciuta» da Gesù, può «riconoscere se stessa» e  gettarsi davanti a Lui  dicendogli «tutta la verità».

La parola di Gesù la libera da ogni timore, anche dinanzi alla folla: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace!».

Che cosa ha permesso alla donna il passaggio dalla guarigione alla salvezza? L’aver  detto a Gesù «tutta la verità». Tutta la verità di se stessa, delle sue speranze, della sua guarigione, della sua gratitudine. Dire a Gesù tutta la verità non è facile, né scontato. Ma è quello che ti permette di riprendere sempre il cammino della fede e di crescere nella gioia.

Anche Giàiro, capo della sinagoga, compie il «salto della fede» e passa dalla fiducia nel profeta guaritore alla fede nel Signore della vita che vince la morte.

Quando vengono a dirgli: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?», egli si aggrappa alla parola  di Gesù: «Non temere, soltanto abbi fede!». 

Con questa fede cammina col Maestro fino alla casa, passa col Maestro attraverso la folla che piange e urla forte, e lui e sua moglie, insieme con Pietro Giacomo e Giovanni, entrano dov’era la bambina.

Gesù, dopo aver allontanato la coreografia delle lamentatrici, delle grida tipiche dei funerali orientali,  in quella stanza compie un gesto e dice una parola: «Prese la mano della bambina e disse: “Talità, kum”, che significa: “Fanciulla, io ti dico: àlzati!”».

Il dono della vita è impegno ad alzarsi, mangiare, mettersi in cammino. Per questo Gesù «disse loro di darle da mangiare». Dinanzi a tante persone che sembrano ormai morte per quanto riguarda la fede, non limitarti al lamento, non ti rassegnare, disturba il Maestro e con la tua preghiera insistente chiamalo accanto a loro. Dopo, quella Parola che ha riscaldato il tuo cuore, per quanto è possibile, cerca di condividerla  anche con gli altri. 

Ma insieme, nella consapevolezza che l’uomo va accolto nella sua totalità e cibo e vita vanno insieme, non chiudere gli occhi dinanzi ai poveri che bussano alla porta o incontri per strada e rispondi alla responsabilità che noi, come popoli dell’opulenza, abbiamo  dinanzi ai popoli della fame, particolarmente dinanzi ai bambini denutriti e malati. Non lasciar cadere la parola del Signore: «Date voi stessi loro da mangiare» (Mc 6,37).

*Cardinale