Dalla guarigione alla salvezza

XXVIII Domenica del Tempo ordinario. Letture: 2Re 5,14-17;  2Tm 2,8-13;  Lc 17,11-19«Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi!”»di GIANCARLO BRUNIEremo delle Stinche – Panzano in Chianti

1. Il Vangelo di questa domenica può essere letto a partire da tre detti biblici: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gc 4,34), il Padre «mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio» (Lc 4,18), «è passato facendo il bene perché Dio era con lui» (At 10,38). Gesù è un uomo in cammino, il brano evangelico lo sottolinea a più riprese: è in viaggio verso Gerusalemme, attraversa la Samaria e la Galilea, entra in un villaggio ove avviene un incontro con dieci lebbrosi che si fermano a distanza (Lc 17,11-12) al fine di non contagiare. Questa è la ragione del loro isolamento al contempo sociale e religioso (Lv 13,45-49), marginali e impuri perché tale è tutto ciò che contamina l’uomo recandogli danno. Una condizione, questa dei lebbrosi, davvero singolare: da un lato tenuti a distanza per salvaguardare i sani, a questo obbedisce il sistema del «puro e dell’impuro», d’altro lato, e a questo obbedisce «l’attesa messianica», si aspetta la venuta di Colui che li reintegrerà e socialmente e cultualmente. Non a caso i lebbrosi del vangelo sono dieci, numero richiesto di adulti per l’assemblea sinagogale. Gesù dunque nel suo cammino verso la città del grande appuntamento, Gerusalemme, è incontrato dalla marginalità a cui Dio lo ha inviato per un’opera di liberazione – salvezza attesa da chi sa intuire chi e che cosa veramente giova al proprio dolore.

2. Di fatto i dieci lebbrosi sanno del passaggio di Gesù, gli vanno incontro e, a distanza secondo la legge, alzano la voce: “Gesù maestro, abbi pietà di noi» (Lc 17,12-13). Il loro è il grido del precario dei salmi che esce da sé per affidare la sua sorte alla pietas del suo Signore: «Ascolta la voce del mio grido» (Sal 5,3), “sii attento al mio grido» (Sal 17,1), alla «mia supplica» (Sal 6,10), al «mio lamento» (Sal 64,2). Il loro è il grido della creazione che geme perché incompiuta, un urlo ricco di fiducia in un Tu che «ascolta la voce dei poveri» (Sal 69,4), dei “disperati» (Est 14,17) e degli «oppressi» (Sir 35,3) perché «il Signore è compassionevole e misericordioso…è vicino a chiunque lo invoca» (Sal 145,8.18). E Gesù, il cui nome significa “Dio salva”, è questa vicinanza compassionevole, misericordiosa e forte di Dio ai lebbrosi riassunto emblematico dei poveri. Lebbrosi che a Gesù riconoscono questa potenza come puntualizza il titolo «maestro» che in Luca significa fiducia incondizionata nell’autorità-potenza di Gesù. Un Gesù che ascolta il loro grido prima ancora di vederli e: «Appena li vide, disse: “Andate a presentarvi ai sacerdoti”». Tutto avviene nella legalità, spettava ai sacerdoti stabilire o meno la presenza del morbo e dichiarare l’avvio dei riti di purificazione per essere riaccolti nella comunità, e tutto avviene secondo l’intenzione di Dio, sanare ciò che è malato e reintegrare ciò che è escluso. Il Padre di Gesù in Gesù dichiara con la guarigione di lebbrosi aperto il tempo messianico caratterizzato da un Dio amico e non padrone – rivale dell’uomo, unicamente preoccupato dell’emergere di una creazione sanata nel corpo, restituita alla società in rapporti di alleanza e al culto nel rendimento di grazie. Nella consapevolezza che gli ascoltati e veduti  sono comunque già guariti nel loro essere amati – resi capaci di amare, anche se ancora in un corpo malato che attende resurrezione, la perfetta guarigione.

3. E nuovi spiragli si aprono, il disappunto di Gesù che annota che tra i dieci «guariti» uno solo è stato «salvato». A voler dire che Dio in Gesù è ieri, oggi e domani guarigione per tutti oltre ogni barriera etnica e religiosa, la liberazione dal bisogno è incondizionata, ma che solo un piccolo resto proveniente da ogni dove, qui uno straniero a Israele, perviene alla salvezza. Non quella eterna ovviamente, ma quella che sa cogliere nel passaggio di Gesù il lieto messaggio di Dio ai poveri, la sua compassione e potenza in atto; un riconoscere che diventa ringraziamento e lode; un glorificare che diventa prolungamento nei confronti di altri di quel forte amore capace di sanare. Ma questo dover essere del volto è  volto della Chiesa, sacramento di una umanità guarita che ringrazia e che passa facendo il bene sulle orme del suo Signore. Umanità salvata nel credere questo: «La tua fede ti ha salvato», e nel camminare alla luce di questo: «Alzati e va’» (Lc 17,19). Diversamente non resta che il disappunto di Gesù: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8).