Cristo, un re venuto per servire e per dare la vita
Domenica 25 novembre, Cristo Re dell’universo: «Unsero Davide re sopra Israele» (2 Sam 5,1-3); «Regna la pace dove regna il Signore» (Salmo 121); «Ci ha trasferiti nel regno del suo figlio diletto» (Col 1,12-20); «Signore, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc 23,35-43)
DI BRUNO FREDIANI
Il Cristo è chiamato a guidare il popolo di Dio, ad esserne il re; la sua regalità è di origine divina ed ha il primato su tutto, perchè in lui il Padre ha posto la pienezza di tutte le cose. L’evangelista Luca presenta la regalità di Gesù narrando la parodia della sua investitura a re dei Giudei sulla croce, che richiama l’altra parodia avvenuta nel pretorio di Pilato e riportata dagli altri evangelisti. L’investitura regale di Cristo si svolge intorno alla croce, trono improvvisato del nuovo Messia. Per rendere più evidente questo accostamento, Luca ricorda l’iscrizione che domina la croce; «Questi è il re dei Giudei», senza dire che si tratta del motivo della condanna. Così l’iscrizione tiene il posto della parola di investitura, simile a quella con cui il Padre investì il proprio figlio al momento del battesimo al Giordano.
Secondo la legge mosaica, l’intronizzazione deve avvenire alla presenza di due testimoni. Ma, mentre i testimoni della investitura regale della trasfigurazione sono due fra i principali personaggi dell’Antico Testamento, Mosè ed Elia, e i testimoni della risurrezione sono misteriosi, i due testimoni dell’intronizzazione del Golgota sono soltanto due volgari briganti.
È un’investitura ridicola, e Gesù va fino in fondo alla beffa.
L’episodio dei due ladroni indica che per Cristo il modo di esercitare la sua regalità su tutti gli uomini, compresi i suoi nemici, è quello di offrire loro il perdono.
I titoli di Gesù: Re, Messia, Salvatore, Unto di Dio, Figlio di Dio, risuonano intorno alla croce in frasi beffarde e provocanti. In questa situazione Gesù compie un gesto veramente regale e assicura al malfattore pentito l’ingresso nel regno del Padre. Anche nei confronti degli avversari più accaniti Gesù dirà parole di perdono: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».
Gesù, quindi, esercita e manifesta la sua regalità, non nella affermazione di un potere dispotico, ma nel servizio di un perdono che tende alla riconciliazione.
Gesù è re perché, perdonando e morendo per la remissione dei peccati, crea una nuova unità fra gli uomini. Spezzando la spirale dell’odio, offre la possibilità di un nuovo futuro.
Riconoscendo che Gesù è re, noi crediamo che con lui Dio ha manifestato in modo pieno che la realizzazione dell’uomo può avvenire solo nell’obbedienza alla sua volontà. Non c’è azione dell’uomo che non sia sotto il giudizio di Dio, non c’è spazio nella storia che possa fare a meno del rapporto con Dio per mezzo di Gesù. La signoria di Cristo ci insegna ancora che la vita a cui siamo chiamati è la stessa vita che ha vissuto Gesù Cristo: vita di servizio ai fratelli. Vivendola, noi confessiamo la sua signoria e diventiamo a nostra volta uomini di pace e di riconciliazione. Nella Chiesa, come in ogni comunità, il ministero (servizio) dell’autorità, è dato non per l’affermazione personale, ma in funzione dell’unità e della carità. Cristo, buon pastore è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita.