Cristo Re, della verità
Letture del 26 novembre, Festa di Cristo Re: «Il suo regno è tale, che non sarà mai distrutto» (Dan 7, 13-14); «Anche quelli che lo trafissero si batteranno per lui il petto» (Ap. 1, 5-8); «Io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità» (Gv 18, 33-37).
Lo stesso Giovanni, nel suo vangelo, introduce il momento dell’interrogatorio di Pilato sull’unica accusa che questi ha preso in considerazione, fra le tre che i capi del giudaismo avevano approntato lì per lì contro Gesù, tacendo quella fatta valere nelle due sedute del sinedrio: di essersi dichiarato «Figlio del Benedetto», cioè di Dio. Ora lo accusavano di pretesa regale. Una sfacciata calunnia! perché ogni volta che il popolo aveva tentato di «farlo re», vi si era opposto risolutamente. Se avessero voluto essere sinceri con il romano, avrebbero dovuto dire che lo avevano condannato a morte, per avere insegnato che Dio ama indistintamente tutti gli uomini, non loro giudei soltanto, e che l’amore fra gli uomini non doveva annegare nel razzismo, ma estendersi ad ogni uomo che vive, soffre e spera sulla terra.
Marco dice che Pilato sapeva quale fosse il vero motivo di tanto odio: l’invidia (Mc 15,10). Ma forse sapeva assai, assai di più. Giovanni narra che Gesù, molto serenamente, chiese a Pilato in che senso poteva considerarlo re. Avuta la risposta, dichiarava apertamente che, sì, era re, ma in un senso che non poteva fare ombra a Cesare: re della verità, di tutti coloro che avrebbero fatto della ricerca della verità lo scopo della propria vita. La regalità dei Cesari, fondata sul potere, sarebbe crollata, prima o poi; la sua, fondata sull’intimo dell’uomo alla ricerca di Dio, non «sarebbe tramontata mai», perché «la gloria e la potenza» del «suo Dio e Padre» avrebbero garantito ai suoi «sudditi» un cammino sereno verso la mèta e il godimento eterno delle ricchezze e splendori di questa mèta.
Il ciclo liturgico di questo anno B non poteva attendersi un finale più sfavillante di lampi che squarciano le tenebre di una storia diventata, oggi, più confusa e conflittuale, per essersi creata una luce incapace di indicare dove mettere un piede, o dove puntare un occhio. Più che la cisterna melmosa di un Geremia, è l’orizzonte dell’umanità che appare senza punti di riferimento, da quando si è tentato di spazzar via Cristo dal suo centro focale.
Il figlio della Chiesa, che conserva a lui ogni priorità nelle proprie scelte, sorrette dalla fedeltà che si alimenta attraverso la preghiera, avverte in questo finale liturgico, la sublimità del dono ricevuto da Dio, nell’aver potuto tener dietro ad un corteo così ordinato di domeniche che lo hanno accompagnato sul sentiero, a scadenza settimanale.