Crediamo in un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo
Prima di soffermarmi a meditare sul mistero che è la «Trinità», mi pare utile far notare come questa solennità non si collochi alla fine del Tempo di Pasqua, ma al di fuori di esso. Infatti il tempo di Pasqua è finito con la solennità della Pentecoste e con il lunedì successivo, quest’anno il 20 maggio, inizia il Tempo Ordinario. Perché mi soffermo su questo particolare che di per sé può sembrare insignificante? Le ragioni sono due.
La prima proviene da questa costatazione: se Gesù rivela in modo pieno il volto di Dio nel dono di sé sulla Croce, allora è anche vero che è nella Pasqua che ci viene la vera identità di Dio. Infatti è sulla croce che Gesù consegna al Padre il suo spirito, ed è morendo che effonde lo Spirito sull’intera umanità. Quindi possiamo dire che, solo se crediamo nella Pasqua di Gesù, come evento universale di salvezza, si rivela a noi il vero volto dell’unico Dio che è Trinità. Alla luce di questa rivelazione, poi, possiamo ripercorrere tutta la storia della salvezza come opera dell’unico Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo anche se la rivelazione di Dio come «comunione di vita di tre Persone» ci viene rivelata solo da Gesù. Per questo possiamo dire che la creazione, la redenzione e la santificazione sono opera di Dio Trinità. Tuttavia, siccome l’unica natura divina è partecipata in modo diverso dalle tre divine Persone [in un modo il Padre, la fonte e l’origine dell’intera divinità, in un altro il Figlio che il Padre ha generato, in un altro ancora lo Spirito Santo che procede da ambedue] ne consegue che anche in quello che le divine persone fanno, lo compiono secondo quella particolare maniera con la quale partecipano la natura divina. Pertanto si può applicare al Padre la creazione, al Figlio la Redenzione e allo Spirito Santo la santificazione, non nel senso che solo il Padre abbia creato, il Figlio redento e lo Spirito santificato, ma bensì nel senso che in ognuna di queste operazioni, più che in altre, è evidente l’aspetto originario e specifico rispettivamente del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
La seconda ragione di questa premessa è per sottolineare che l’aspetto trinitario dell’azione di Dio a favore dell’uomo, è da tenersi presente più di ogni altro aspetto del mistero di Dio, come d’altronde, se non lo facessimo troppo distrattamente, già diciamo con il «Segno di croce» con cui sempre iniziamo e terminiamo la preghiera liturgica e, speriamo, anche quella personale e ogni giornata.
Mi chiedo ora: ma quale differenza c’è tra il credere in un Dio unico, ma solitario, come fanno gli ebrei e i mussulmani, e il credere in Dio Trinità come facciamo noi cristiani? Tra le tante, sottolineo due differenze, una che si riferisce all’idea che dovremmo avere di Dio, e l’altra all’impronta che questa idea di Dio dovrebbe imprimere nel nostro modo di vivere. Se Dio è Trinità significa che Dio è «famiglia» e famiglia d’amore. Un Dio che fosse una persona sola non sarebbe un Dio vivente. Il nostro Dio è vivente perché comunione d’amore. Da ciò ne consegue che la vita è cristiana, nella misura in cui i battezzati vivono una vita di comunione d’amore. Siccome il vivere da credenti si definisce “spiritualità”, ecco che la prima delle caratteristiche del vivere cristiano (come singoli o come comunità) dovrebbe essere una «spiritualità di comunione». Oggi, solennità della Santissima Trinità, pertanto, è il giorno in cui ciascuno di noi e ciascuna comunità, e anche tutta la Chiesa dovrebbero interrogarsi se e in quale misura vivono la «comunione».
Il Beato Giovanni Paolo II, nella Lettera apostolica “Novo Millennio Ineunte” proponeva ai battezzati di «Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione», e la definiva come «la grande sfida che ci sta davanti nel Millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio». E specificava: «Spiritualità della comunione significa: sguardo del cuore portato sulla Trinità che abita in noi; capacità di sentire il fratello come “uno che mi appartiene”; capacità di vedere innanzi tutto ciò che di positivo c’è nell’altro; saper “fare spazio” al fratello». E ammoniva: «Senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita».
Le parole del Papa beato, mi pare che ci diano un contenuto sostanzioso per la nostra preghiera, per la nostra meditazione e per la nostra conversione se vogliamo mostrarci cristiani, cioè autentici credenti «in un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo».