Cosa vuol dire veramente «fare la comunione»?
«Si dà in cibo»: è il gesto più concreto e più visibile che Gesù poteva inventare in risposta alla nostra fatica a comprendere. Nei segni del pane e del vino realmente possiamo ritrovare richiami, in più direzioni, di come Gesù intendeva esprimere che siamo chiamati a stabilire una relazione di affetto e di comunione profonda con Dio e nell’orizzonte della socialità umana.
È patrimonio della Chiesa la ricchissima riflessione sui molteplici rimandi dell’Eucaristia: stare insieme, condividere, fare festa, nutrirsi, solidarizzare, accettare il sacrificio di sé come segno di amore e di donazione, perdersi in funzione della vita altrui, attingere energia, rinvigorire le forze, fare unità, diventare «chiesa», trasformarsi ed esprimersi come «famiglia» E l’elenco potrebbe continuare. Tutto ciò, leggendolo su un duplice livello, sempre in gioco: in riferimento a Dio, in riferimento agli altri. Il «segno» (cioè lo strumento visibile che rimanda al significato e che rende concreto e vero il significato a cui il segno rimanda: il Pane e il Vino e ciò che vi celebriamo attorno) dell’Eucaristia è per eccellenza il gesto di «comunione» tra Dio e l’umanità (e viceversa) e all’interno della stessa umanità (come naturale conseguenza).
Ritengo bellissimo e insieme inquietante l’insistente richiamo che emerge dalla prima Lettura: «Ricordati! Non dimenticare!…». Quanto siamo facili a dimenticare ciò che Dio ha fatto perché fossimo in relazione familiare con Lui e di conseguenza diventassimo più «familiari» tra noi. Quanta tragica amnesia accompagna la nostra esistenza! Di questa «memoria corta» vorrei toccare un aspetto che connota drammaticamente la nostra cultura, anche come cristiani «praticanti».