Come è difficile diventare servi per amore
E poi, desideroso di un servizio radicalmente nuovo. Gesù non ha cercato gratificazioni, perché la sua vera preoccupazione non è stata quella di dover servire («il Figlio dell’Uomo è venuto per questo»), ma piuttosto di offrire, perché anche noi l’accettassimo, la logica del dono totale, del dare la vita anche se il passaggio obbligato fosse quello della passione e morte. (Prima Lettura)
A questo proposito, è significativo quanto capita intorno a Gesù, quando chiede un «sì» più radicale: i Vangeli riferiscono che intorno a lui restano pochi ma sono definiti i «piccoli» capaci del Regno! Ma come può avvenire questo se diciamo che il Maestro è presente nella nostra esistenza e ci chiama?
Certamente se l’uomo progetta la propria vita solo a partire da sé, non potrà mai aprirsi alla chiamata di un amore servizievole e attento che lo trascende. Fintanto che l’uomo non troverà spazio per un tempo che gli conceda interiorità per il «profondo e il definitivo vero», costui raggiungerà solo la superficie del proprio essere, senza possibile apertura!
In ultima analisi, non ci potrà essere realizzazione piena di servizio autenticamente evangelico, senza quell’umiltà che mette di fronte a Dio e rende disponibile la persona ai Suoi doni. Solo la dimensione spirituale dell’umiltà, offre il linguaggio del povero, del semplice: «Tu sei il mio Dio, sei Tu, Signore, il mio sostegno».
A questo punto la fede coincide con l’umiltà, al contrario, si traduce nell’essere «servi gli uni degli altri, come un debito costante che ci rimane sempre da soddisfare». Solo così l’umiltà, trasformata in servizio, viene a marcare l’esercizio quotidiano di quella carità che «non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto e tutto accetta (1 Cor. 13).