Beati i poveri, guai ai ricchi
Letture dell’11 febbraio, 6ª domenica del Tempo Ordinario: «Maledetto chi confida nell’uomo: benedetto chi confida nel Signore» (Ger 17,5-8); «Beato chi pone la speranza nel Signore» (Salmo 1); «Se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede» (1 Cor 15,12.16-20); «Beati i poveri. Guai a voi ricchi» (Lc 6,17.20-26)
Ci dice infatti il Signore che agli occhi di Dio, il quale «rovescia i potenti dai troni ed innalza gli umili, ricolma di beni gli affamati e rimanda i ricchi a mani vuote», come canta la Vergine Maria nel Magnificat (Lc 1,52 e seg.), è beato il povero, l’affamato, colui che piange ed è reietto, ed Egli darà loro conforto, mentre sono maledetti, espressione molto forte, specialmente in un testo del mite Luca, sono maledetti i ricchi, i sazi, quanti ridono e quanti godono della stima del mondo (terza lettura).
I primi sono tuttavia beati, e saranno consolati, non per il semplice fatto di essere indigenti, ma se ed in quanto essi prenderanno coscienza della precarietà della nostra natura umana, della sua povertà e debolezza, e pertanto sentiranno il bisogno di affidarsi al Signore, che è l’unico che li possa liberare da ogni male; gli altri invece sono maledetti non per il semplice fatto di essere ricchi o sazi o perché ridono, ma nella misura in cui cedono alla tentazione di confidare solo in se stessi e considerarsi autosufficienti e supremi artefici della loro vita, escludendo dai loro pensieri qualunque Essere che li trascenda, trascurando così il fatto innegabile della nostra dipendenza da Qualcuno al di fuori di noi, da Dio.
Il Profeta Geremia paragona coloro che confidano nel Signore, ad albero piantato lungo un corso d’acqua, come quello descritto dal Salmista (Ps., 1,3), un albero che non smette di dare frutti, nemmeno nell’anno della siccità, contrapponendovi coloro che confidano nell’uomo, in se stessi, nella loro potenza fondata sulla scienza, sulle armi, sul denaro, rifiutando di riconoscere i naturali limiti del nostro essere: costoro sono come albero che diverrà inevitabilmente secco, perché piantato nel deserto (prima lettura).
San Paolo svolge un altro tema: proseguendo la lettura della domenica scorsa, egli sostiene la verità della resurrezione di Cristo, primizia dei risorti, ed asserisce che essa è segno della nostra, e che saremmo ben miseri, «da compiangere», se negassimo la possibilità di risorgere e pertanto ponessimo la nostra speranza in qualunque bene, e perfino quella in Lui, limitatamente a questa nostra vita terrena (seconda lettura).
La coscienza della nostra limitatezza contribuisca dunque a farci andare verso Dio, a rimetterci nelle Sue mani, ed a vivere nello spirito delle Beatitudini oggi proposte alla nostra meditazione.