Arricchire davanti a Dio

18ª domenica del Tempo Ordinario (C). «Che profitto c’è per l’uomo in tutta la sua fatica?» (Qo 1,2; 2,21-23); «Fa’ che ascoltiamo, Signore, la tua voce» (Sal 89); «Cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo» (Col 3,1-5.9-11); «Quello che hai preparato, di chi sarà?» (Lc 12,13-21)

DI BENITO MARCONCINI

Il brano evangelico si articola in due momenti: la richiesta di un uomo della folla, perché Gesù lo aiuti ad ottenere giustizia dal fratello in questioni di eredità (12,13-15) e la parabola narrata dal maestro che amplifica la precedente risposta (16-21). Rifiutando di intromettersi in questioni giuridiche al di fuori della sua missione, Gesù entra nel vivo del problema invitando tutti ad evitare la cupidigia (pleonexia), la voglia di possedere sempre di più, un comportamento che la Bibbia avvicina all’idolatria. Il bene dell’uomo è la vita sviluppata nelle sue potenzialità, come armonia psico-fisica, morale e intellettuale aperta  all’esistenza “nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,2-4). Nessuna abbondanza o bene esterno può realizzare l’uomo. La parabola porta a considerare il futuro. L’uomo arricchito dal raccolto abbondante  è convinto di avere assicurata la vita e il benessere per molti anni: per questo  ritiene sufficiente  conservare tanta ricchezza in granai e in nuove costruzioni. Il pane e il vino  li giudica sufficienti anche per vivere in pace e nella gioia,  viste dal ricco effetto necessario dei beni materiali. Ecco la sequenza: riposo – mangiare – bere – gioia. Questo testo rivela il modo di ragionare del ricco. Se al centro dei miei interessi – egli calcola – c’è il mangiare e il bere, cioè i beni materiali, con questi mi procurerò anche la sicurezza e la gioia.  Il giudizio di Dio su questo modo di affrontare la vita è lapidario: «stolto!» Egli ha valutato tutti i giorni, ma non ha pensato all’ultimo, quello più importante, della sua morte. Ha ritenuto di poter disporre della vita come dispone del raccolto; la sua sicurezza si  rivela così un fallimento. «Dio gli disse: questa notte ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?».

Errore grave di interpretazione, contrario al realismo lucano, sarebbe vedere nel testo evangelico un invito al disimpegno economico, sociale, politico, alla fuga dal mondo. Il regno di Dio inizia su questa terra. Il pensiero di Gesù sull’argomento è espresso con il vocabolario usato dal ricco stolto, in frasi contrapposte. «Tesaurizzare per sé oppure arricchire davanti a Dio?» (v.21). Il tesoro personale è il  desiderio di potere, denaro, applausi: l’esagerata ricchezza di alcuni coincide spesso con l’accresciuta povertà di altri. Il tesoro presso Dio è rettitudine, giustizia, attenzione agli altri. L’arricchimento presso Dio parte dalla consapevolezza della “vanità”, cioè soffio, cosa inconsistente, effimera di quanto è staccato da Dio, come afferma la prima lettura tratta da Qoélet e prosegue con la condivisione dei propri beni segno di eguaglianza derivata dall’essere  “Cristo  tutto in tutti” (Col 3,11). Il pensiero di Gesù, finalizzato a cambiare la persona da stolta a saggia,  addita due momenti. L’uomo è invitato a evitare la cupidigia, quell’accumulo vistoso di ricchezze che ha la sua sorgente in una bramosia interiore verso il possesso anche delle persone, definita epithumia, che assieme alla cupidigia aumenta quell’incapacità ad amare, quell’egoismo totale in cui consiste il vero peccato (amartia). Il superamento di questa schiavitù possibile soltanto alla divina misericordia, è facilitato da un deciso programma di «arricchire davanti a Dio» i cui segni sono:  tradurre in carità i beni posseduti,  coltivare le virtù della fede, della misericordia e del perdono, donare il proprio tempo nell’ascolto, nella vicinanza, nell’affetto. Con questo programma i doni di  Dio condurranno il saggio amministratore a raggiungere il Dio dei doni.