«Anche voi siate astuti nel farvi amici»

Diciamoci la verità: questa parabola di Gesù ci lascia un po’ smarriti, perché ai nostri orecchi risuona come un elogio fatto dal Signore all’amministratore disonesto. Potremmo dire che nella comprensione di questa parabola troviamo un intoppo, (forse anche più di uno), che ci obbliga a fermarci e a pensare, come faremmo se, nel bel mezzo di una sinfonia, sentissimo suoni in libertà che offendono i nostri orecchi. Ciò, evidentemente, ci costringerebbe a fermarci e a pensare perché l’autore di quell’opera abbia inserito una serie di cattivi suoni. Oggi noi ci troviamo così di fronte a questa parabola e ci dobbiamo chiedere il perché delle stonature e quale sia il messaggio da trarre.

Prima stonatura: a noi sembra che il Padrone elogi l’amministratore disonesto perché disonesto. Ma,… è proprio così? Se leggiamo più attentamente, però, ci accorgiamo che il padrone non loda la disonestà dell’amministratore, ma la sua astuzia , la sua capacità di tirarsi fuori dai guai in cui si era cacciato a seguito del licenziamento in tronco del padrone. Infatti, che cosa ha fatto? Invece di continuare a rubare ha beneficato i debitori del padrone facendoseli amici, certo che in futuro non gli faranno mancare il necessario per vivere. L’amministratore (che disonesto è, e disonesto rimane anche mentre mette in esecuzione questo suo astuto piano) ha agito con furbizia nel provvedere al suo futuro per non morire di fame. Il padrone loda questa furbizia, non la disonestà nell’amministrazione, che è fuori discussione. Gesù prende spunto da quello che è stato capace di fare l’amministratore infedele, per dire ai «figli della luce» di essere altrettanto scaltri nell’assicurarsi non semplicemente la vita terrena, ma quella eterna. La via, dice Gesù, è semplice: con i beni che abbiamo, aiutiamo i poveri, le persone che incontriamo e che ci tendono la mano, perché al momento del giudizio finale, siano la prova che in loro noi abbiamo «servito» il Signore. Allora anche noi ci sentiremo dire: «Venite voi benedetti del Padre, perché avevo fame e mi avete dato da mangiare,..». 

La seconda questione riguarda la definizione che Gesù dà della ricchezza: «disonesta». Perché la ricchezza è disonesta se nell’Antico Testamento era ritenuta addirittura una benedizione di Dio? Perché quando uno possiede molti beni tanto da essere definito ricco, vuol dire che qualche stortura c’è stata nell’accumulo delle ricchezze o nel mantenimento, oppure perché costituiscono una grave tentazione ad abbandonare Dio. Infatti, Gesù dice che è la ricchezza (Mammona, il Denaro) la vera rivale di Dio: «Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

La parabola e le parole di Gesù sulla ricchezza, dovrebbero provocare in noi una seria riflessione sul modo di come consideriamo e usiamo i beni terreni.

1) Prima di tutto dobbiamo sapere che i beni sono del Padrone e non nostri: noi ne siamo solo amministratori.

2) Dio ha dato i beni della terra perché sfamassero tutti gli uomini, pertanto su di essi c’è un’ipoteca sociale. Ciò significa che quando ne va della vita dei fratelli e del bene comune, chi possiede ricchezze ha il dovere di metterne a disposizione quella parte che necessita.

3) Il vero rivale di Dio è la ricchezza. Quando, di fatto, il bene materiale diventa un assoluto, tanto da far dipendere da esso la nostra felicità e, per non perderne, siamo disposti anche a lasciar morire di fame dei fratelli, è evidente che bestemmiamo Dio perché non riconosciamo suoi figli, quanti vivono  nella «periferia» del mondo.

Tutti i Pontefici hanno proclamato la validità delle beatitudini, specialmente della prima (»Beati i poveri»). Oggi papa Francesco che non solo predica, ma vive la povertà e vorrebbe che anche la Chiesa lo fosse. Condividiamo questa impostazione di Papa Francesco, oppure la riteniamo un’utopia come, purtroppo, tante altre cose che sta dicendo e praticando? Ricordandoci che Gesù ha detto che non si può servire a due padroni, teniamo conto che il modo, con cui valutiamo e usiamo le ricchezze, è la cartina di tornasole per comprendere quanto è viva in noi la fede?  Credo che tutti dovremmo convertirci: vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli laici. E non solo, come singoli ma, soprattutto, come comunità e istituzioni.