Anche noi cerchiamo l’acqua che Gesù offre alla Samaritana

Letture del 24 febbraio, 3ª domenica di Quaresima: «Dacci acqua da bere» (Es 17,3-7); «Fa che ascoltiamo, Signore, la tua voce» (Salmo 94); «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,1-2.5-8); «Sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,5-42)

DI MARCO PRATESI

L’acqua che Gesù offre alla donna di Samaria nel celebre colloquio al pozzo di Sichar, ha due caratteristiche: 1. estingue la sete in modo definitivo 2. diviene addirittura essa stessa sorgente zampillante. Sono ovviamente due caratteristiche che l’acqua alla quale la donna è abituata non ha, e che evidenziano l’unicità di quanto lo sconosciuto pellegrino le sta offrendo in quella solitaria ora meridiana. Poiché si tratta naturalmente di un’offerta che Gesù fa a ciascuno che ascolti la sua parola, a ciascuno di noi, ci domandiamo: che cosa egli viene oggi a offrirci?

Che cosa può significare la definitiva estinzione della sete? Bere quest’acqua ci dispensa dal bere di nuovo: non c’è più da rifare niente del genere. Si deve dunque trattare di qualcosa che è unico, che avviene una tantum se si accoglie Gesù; qualcosa che invece avviene molte volte se si bevono altre acque. La riflessione potrebbe anche fermarsi qui perché abbiamo a che fare, in un certo senso, con un oggetto misterioso, qualcosa che intuiamo oscuramente, ma del quale ignoriamo molto. Ognuno deve ricercare personalmente, e Giovanni si sforza di indurci a questo, a compiere un tragitto – che è poi quello della Samaritana – dalle acque conosciute a un’acqua sconosciuta, nuova, impensabile.

Possiamo comunque tentare di dare qui una prima risposta: ciò che si deve fare una volta sola nella vita è quanto sognano (forse oramai soltanto) i poeti: «trovare l’amore della propria vita». Si può anche dire con il Cantico dei Cantici: inveni quem diligit anima mea («ho trovato colui che l’anima mia ama», 3,4). Trovo l’orientamento definitivamente soddisfacente della mia esistenza. E scusate se è poco. Con questo è già chiarita l’alternativa rappresentata dal bere altre acque: il saltellare qua e là, il provare e tornare indietro insoddisfatti, il cercare senza trovare, il credere di aver trovato e poi restare delusi, il ripartire, magari il restare infine definitivamente impantanati nella sfiducia e nel cinismo. Il testo lo esprime molto chiaramente: sono i cinque uomini che la donna ha avuto. Attualmente è impegnata col sesto ma… come andrà a finire? No, adesso la donna lo sa, e noi lo sappiamo con lei: la strada è un’altra, è arrivato il Messia, che è anche lo Sposo – il racconto delle nozze di Cana è ancora risonante nelle orecchie del lettore del racconto giovanneo. Adesso basta con gl’idoli, è arrivato il Signore. Adesso basta con i tanti déi che frammentano la vita, è l’ora dell’unico Dio che la unifica intorno a un centro: tenui eum nec dimittam, lo tengo e non lo lascio, dice ancora il Cantico.

Ecco perché tale acqua diventa in noi fonte che zampilla: essa è la presenza in noi della stessa fonte viva, il Cristo Messia e Salvatore, colui che muta la pietra del nostro cuore nella sorgente d’acqua del suo amore (cf. Sal 114,8).

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