Anche il digiuno va fatto con gioia

Letture del 2 marzo, 8ª domenica del tempo ordinario: «Ti farò mia sposa per sempre» (2,16.17.21-22); «Il Signore è buono e grande nell’amore» (Salmo 102); «Voi siete una lettera di Cristo composta da noi» (2 Cor 3,1-6); «Lo sposo è con loro» (Mc 2,18-22)di ANGELO SILEI«Perché i tuoi discepoli non digiunano?»: con questa critica i discepoli di Giovanni e i farisei si presentano a Gesù. Essi sono contrariati dal comportamento dei discepoli e dall’aria troppo allegra che si respira intorno a Gesù. Sono convinti che la religione si deve esprimere in esercizi impegnativi. Il digiuno è uno di questi esercizi. «Digiuno due volte la settimana», dichiara con orgoglio il fariseo della parabola di Luca (18,12).

Spesso si pensa che il meglio della religione si debba esprimere in esercizi difficili, in esperienze eroiche, soprattutto in impegni severi di restrizioni e di limitazioni. Le regole sono molto spesso divieti. Le norme tendono quasi sempre a ridurre. Al punto che ogni forma spontanea appare esagerata e l’ideale è l’uomo austero che non perde mai il controllo dei suoi sentimenti.

Intorno a Gesù si respira un’aria diversa. C’è festa intorno a lui. La vita e il sorriso rifioriscono in tanti malati guariti, nei peccatori perdonati, nella gente semplice dei villaggi della Galilea che si sente destinataria di un grande messaggio. Al seguito di Gesù per il bene dell’uomo si infrangono regole che sembravano inattaccabili, come era successo con il lebbroso e come accadrà in certi sabati.Tutto questo non quadra con la religiosità penitente ed esigente dei discepoli di Giovanni e con le pratiche severe dei farisei.

Gesù non contesta le loro opere. Vorrebbe solo che avessero un’anima e che facessero respirare l’anima. Gesù non ama la religione che chiude, che opprime, che obbliga, che umilia, che separa. Gesù porta una ventata nuova che traccia il sorriso, che fa vibrare il cuore, che dona libertà e restituisce dignità. Egli porta il vino nuovo, indossa un vestito nuovo. Le forme devono adeguarsi a questo nuovo respiro. Non deve accadere che per amore delle forme si soffochi la novità.

Per questo nasce il contrasto descritto nel vangelo. È la contrapposizione perenne fra una religiosità dal volto triste e una religiosità gioiosa, fra una fede fatta solo di obbedienza servile e una fede animata dall’amore, fra una religione dei meriti e una religione della gratuità. Gesù ripete con i profeti che Dio è lo sposo e che è con noi. Le sue parole sono eco di quelle splendide di Osea, cariche di entusiasmo e di tenerezza: «parlerò al suo cuore…ti farò mia sposa per sempre». È tempo di gioia e di festa perché «il Signore è buono e grande nell’amore». La nostra storia con Dio non è una vicenda di dominio e di costrizione, ma una storia d’amore come quello umano. Dio ci cerca perché ci ama e ci attira con la sua bontà, ci lega a sé con la sua tenerezza. Non è il padrone ma lo sposo.La religiosità vissuta e promossa da Gesù è all’insegna della presenza, della vicinanza, dell’incontro di Dio, della comunione e dell’amore. La religione cristiana non può ridursi a un castello di regole e di impegni. Deve essere lo spazio dove tutto è fatto fiorire dall’amore e dalla certezza di un Dio vicino e proteso verso l’uomo. Anche i tempi in cui lo sposo ci è tolto devono essere vissuti nella certezza del suo ritorno e nella sicurezza che ormai questa lontananza non è per sempre. A noi che siamo oggi i discepoli di Gesù spetta il compito di mostrare questo volto radioso. Il nostro modo di pregare, il nostro stile nei rapporti con gli altri, la nostra vita nel lavoro quotidiano, la nostra maniera di reagire nella prova, il nostro modo di essere fedeli e osservanti, devoti e impegnati: tutto deve essere vissuto nell’amore e nella gioia. Niente deve essere fatto pesare né a Dio né a chi ci avvicina. A tutti, come ha fatto certamente Gesù, dobbiamo mostrare di essere in rapporto di intimità con un Dio, «buono e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore», proprio come uno sposo innamorato.