Amare come Gesù ha amato noi: è difficile ma…
Il Vangelo di questa domenica ci annuncia ancora una volta il comandamento nuovo di Gesù, vero asse portante per comprendere il senso della nuova alleanza inaugurata nel sangue dell’Agnello pasquale. Una nuova alleanza che sancisce la definitiva unione di un popolo con Dio, una unione così radicale da dare perfino un nuovo nome a Dio: il «Dio-con-loro», dice l’Apocalisse (Ap, 21,1-5; 2a lettura), non semplicemente l’ingresso dell’umanità nello spazio di Dio, una sorta di benevola ospitalità, uno strapuntino cosmico offerto ad ospiti improvvisati, ma un totale rinnovamento di tutte le cose (cfr. v.5) che implica un rapporto nuovo, una comunione reciproca che stravolge ogni filosofia, ogni teologia naturale che distingue bene fra l’assoluto della divinità e il contingente della creatura.
Del resto questa possibilità, questa mutua compenetrazione si apre già con l’annuncio del comandamento nuovo di Cristo. Amare come lui ha amato noi: come è possibile?
La portata di questo comandamento è così ampia che sembra quasi impossibile da accogliere. Del resto mancando un comandamento (una legge) manca anche un’alleanza, un patto. Non è possibile vivere la nuova alleanza senza il nuovo comandamento. La tentazione, come sempre, potrebbe essere quella di insabbiare il comandamento e sostituirlo con qualcosa di contraffatto: valori cristiani generici, tradizionali, magari blasonati come «non negoziabili». Questo non significa certo che siano falsi o inutili, ma possono essere di contorno, non certo il piatto forte, la vera novità della nuova alleanza, il cuore del messaggio di Gesù Cristo.
Il comandamento dell’amore fraterno è la vera «leva» che scardina l’assetto presente, a volte intollerabile agli stessi credenti: ma siamo sicuri che amare sia la scelta giusta? Come parlare di amore in un mondo di lupi che non aspetta che di mangiarti, come avere ancora queste pie credenze? Come parlare di amore reciproco in una chiesa che vive in se stessa contraddizioni, invidie, gelosie, bassezze di ogni tipo? Avete mai visto qualcuno che si è convertito per aver visto i cristiani volersi bene? Forse non ci abbiamo provato abbastanza? O forse le conversioni a volte seguono vie diverse: il personaggio carismatico, il fascino di una predicazione, l’offerta di uno spazio significativo per chi ha delle incertezze di vita… In realtà il Vangelo non promette conversioni: dice semplicemente «tutti sapranno che siete miei discepoli» (Gv 13,35). Magari poi ci sarà il rifiuto o la persecuzione. Non c’è alcuna garanzia di funzionamento. Ma tutto questo mette in luce l’importanza di sapere chi siamo, di presentarci per quello che siamo. Fa bene a noi, fa bene agli altri. Anche chi ci perseguiterà lo farà con chiarezza di coscienza. L’importante è che il volto di Cristo traspaia nella storia e nella nostra vita, e sarà comunque una benedizione per il mondo. L’importante è non presentare un volto contraffatto, un Dio che è doveroso rifiutare. Perché il Dio della nuova alleanza è colui che ha amato fino alla fine. E l’amore reciproco è l’unico modo di annunciarlo.
*Cappellano del carcere di Prato