Alla superbia non c’è rimedio
Forse ci è capitato di partecipare a qualche celebrazione che ci ha fatto sentire particolarmente a nostro agio, liturgie semplici eppure arricchenti, a volte partecipate da migliaia di persone eppure intime come una cena fra amici. Ricordo questo clima a Lourdes, o a Taizé, celebrazioni che mostravano come potrebbe essere il mondo in cui sperare, un mondo di persone riunite nella lode, nella gioia e nel ringraziamento, persone che in gran parte neppure si conoscono eppure in sintonia le une con le altre. Certo sono momenti e sensazioni a volte molto brevi e circoscritte, la realtà quotidiana riprende subito il sopravvento con le sue contraddizioni, eppure momenti che come una scintilla innescano qualcosa di nuovo, mostrano una possibilità, aprono un orizzonte insperato.
A mio parere anche il brano di Ebrei 12, 18-24, la seconda lettura di oggi, apre un orizzonte simile, fa intravedere l’assemblea festosa dei cieli come manifestazione della realtà alla quale ogni uomo è chiamato, la vera «terra promessa» che ognuno porta nel proprio cuore, una sorta di nostalgia di qualcosa che non si possiede ancora ma che per vie misteriose si sa essere la risposta alle nostra ansie e preoccupazioni. Non si tratta di una risposta consolatoria, a buon mercato, una ricerca artificiosa di tranquillità. La liturgia ci mostra, come in uno specchio, il nostro vero volto, il volto dell’umanità cui siamo partecipi, non un abbellimento di una realtà decadente, ma lo svelamento della nostra vera natura, la caduta del velo che copre la faccia delle genti per riflettere la gloria del volto del Signore (cf. 2Cor 3,18). È per questo che questa chiamata manifesta, all’opposto, la vacuità che si nasconde in momenti che potrebbero essere annuncio, anticipo di questa realtà profonda.
Anche un semplice pasto in famiglia ha una dimensione eucaristica, spirituale, ancor più una festa di nozze, come illustrato dal brano evangelico di oggi (Lc 14,7-14). Eppure anche in questi momenti è in agguato qualcos’altro, la ricerca di se stessi e del proprio vantaggio, del culto di sé e della propria boria. E che dire di altri momenti che in teoria potrebbero manifestare e anticipare questa vocazione profonda di ogni uomo alla comunione e alla gioia, nella dimensione politica, economica, sociale della vita comune? «Alla misera condizione del superbo non c’è rimedio» conclude amaramente Siracide 3,28 nella prima lettura di oggi, non per toglierci la speranza ma per offrirci uno sguardo di verità sulla nostra vita.
*Cappellano del Carcere di Prato