Al cuore della fede

Può apparire eccentrico il comportamento di Gesù al Tempio di Gerusalemme quando «fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori» (Gv 2,15). Ma, dopo molto tempo, i discepoli ripercorrono quell’avvenimento e lo comprendono in profondità, alla luce della resurrezione (cfr. Gv 2,22). È importante «ricordare», riportare nel cuore le esperienze, meditarle, fare una scelta di ciò che è da custodire.

Non c’è cammino cristiano, non c’è vita nuova nello Spirito senza che la memoria custodisca la storia sacra che Dio ci dona di vivere. La memoria, infatti, ci permette di riconoscere Cristo vivo, oggi, nella nostra storia. La memoria ci fa conservare nel cuore i doni ricevuti e aiuta l’intelletto a riconoscere la verità che la volontà è chiamata a scegliere e amare. Non possiamo comprendere le vie di Dio senza guardare ogni realtà alla luce dell’esperienza del Risorto.

I discepoli, dunque, ricordano e comprendono il senso profondo di quell’avvenimento. Il vero tempio, ora, è Gesù. E la vera adorazione del Padre consiste nel vivere ciò che Cristo ha vissuto: l’amore di Dio e del prossimo. Gesù ci invita ad andare in profondità nella nostra fede: non basta, infatti, un’osservanza esteriore. Stiamo attenti che la nostra vita non sia costruita su una bella facciata, su una giustizia magari perfetta davanti agli uomini ma priva di interiorità e amore e che, per questo motivo, scaccia la presenza di Dio dall’anima!

Molti nostri fratelli cristiani stanno sopportando dure persecuzioni e rischiano ogni giorno la vita a causa della propria fede. Spesso, vengono uccisi proprio dentro il «tempio» e il loro sacrificio rende sempre più gloriosa e luminosa la Chiesa di Cristo: essi, infatti, la «irrigano» con il proprio sangue. Da poco, in monastero, abbiamo ricevuto la lettera di due nostri confratelli che sono stati in Iraq e hanno toccato con mano la sofferenza della gente, le ingiustizie, i tradimenti subiti da parte di amici, le sofferenze indicibili, i lutti. Questi nostri fratelli perseguitati, proprio nel tempo del dolore e della prova, hanno avuto il coraggio di fondare una Facoltà di Teologia, come segno di speranza e di fiducia nella ragione in un’ora in cui sembra prevalere, piuttosto, la mancanza di lucidità. Il tempio di cui Gesù parla, allora, è lui stesso, ma è anche il suo Corpo mistico: la Chiesa. Infatti, «egli parlava del tempio del suo corpo» (Gv 2,21). Chi distrugge le membra del Corpo di Cristo, uccide Lui. Ma «in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2,19): l’amore è sempre vittorioso, per se stesso, anche quando agli occhi del mondo si mostra perdente. «Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1 Cor 25). I gesti e le scelte di amore diffondono luce, coraggio, desiderio di bene. Attorno a una persona che sceglie di amare, c’è una forza di attrazione irresistibile. Ecco perché il rinnovamento della Chiesa, più che dalle tante attività, nasce dal sangue dei martiri. Da chi preferisce essere ucciso che uccidere, essere ferito che ferire, sopportare e perdonare piuttosto che difendersi. Da chi, ogni giorno, sceglie di amare il nemico, di rispondere al male col bene, di pregare per chi lo fa soffrire.

Vivere il vero culto significa, allora, accogliere Cristo nella vita quotidiana e riconoscerlo negli altri. È Lui il «luogo» di incontro col Padre. Lui è «la casa» in cui i popoli possono ritrovarsi e riconquistare la pace e l’unità. Siamo chiamati a edificare la Chiesa non con gesti spettacolari, ma con scelte quotidiane di amore. Come quelle di Maria. «Guardate come si comportò quando San Giuseppe si mostrò turbato. Bastava una sola sua parola per illuminargli la mente; non volle dire quella parola e il Signore stesso operò il miracolo di riscattare la sua innocenza. Potessimo essere convinti di questa necessità del silenzio!» (B. Teresa di Calcutta, Meditazioni).

La quaresima è tempo propizio per andare al cuore della nostra fede, attraverso una maggiore autenticità. Lasciamoci incontrare da Colui che ci vede e conosce il nostro cuore (cfr. Gv 2,24-25). Sentiamoci membra vive del suo Corpo, con una vita fraterna più vera. Irradiamo la sua luce con pensieri limpidi, gesti luminosi e parole vere e coraggiose, perché nate nel silenzio e nella preghiera. Ricordiamoci che «le parole che non danno la luce di Cristo aumentano in noi il buio». Comportiamoci, allora, da veri figli della luce. Viviamo in quella sobrietà che ci farà sperimentare la tenerezza e la provvidenza di Dio. E pensiamo con gioia che «ogni volta che diciamo Padre Nostro, Dio guarda le sue mani, che ci hanno plasmato…e ci vede lì» (B. Teresa di Calcutta, Meditazioni).

Suor Mirella Caterina Soro