Walesa – L’uomo della speranza

Di questo secondo gruppo fa parte la trilogia che, dal 1949 al 1983, racconta la storia della Polonia dalla costruzione di Nowa Huta al Nobel per la pace conferito a Lech Walesa. È una trilogia che ha atteso ventisei anni per concludersi: dal 1977 («L’uomo di marmo», un capolavoro) al 1981 («L’uomo di ferro», quasi la cronaca in diretta della nascita di Solidarnosc) al 2013, adesso, con «Walesa – L’uomo della speranza». Ne è passato di tempo, la storia è andata avanti e tocca prendere atto del fatto che Wajda, pur mantenendo un occhio storico vigile, risente un po’ dello scorrere del tempo, avverte il peso dei suoi 88 anni e, soprattutto, dell’amicizia con Walesa, della sua diretta partecipazione al progetto e del fatto che, a differenza dei due capitoli precedenti, qui non sono più un’aspirante regista, un muratore, un meccanico, ovverosia una persona qualunque, a ricucire le fila della storia, ma il diretto interessato che, lo voglia o no, è un personaggio di risonanza mondiale. Questo conduce a un calo di passione nel procedere del racconto che, nel suo alternare i forti momenti pubblici ai più intimi inserti privati riguardanti la moglie e i figli, riporta il tutto a qualcosa di molto simile a un biopic (quasi) qualunque dalle nobili intenzioni minacciate dall’ombra dell’agiografia.

La cornice del racconto è fornita dalla celebre intervista che Oriana Fallaci fece a Walesa nel 1981 nella sua casa di Danzica. Le domande e le risposte aiutano a ricostruire il cammino. Operaio nei cantieri navali, nel 1970 si trova coinvolto nelle proteste operaie e, benché si adoperi per fermare le intemperanze, è arrestato e costretto a collaborare con i poteri forti. Poi la famiglia cresce (saranno otto i figli tra il 1970 e il 1985) e cresce anche la consapevolezza politica di Walesa, che nel 1980 fonda Solidarnosc e costringe il governo ad accettare tutte le richieste degli scioperanti. Forte della propria fede e di un semplice pragmatismo che gli viene dal motto che lo ha sempre accompagnato («Non vorrei, ma devo»), diventa il punto di riferimento di tutti i lavoratori, vince il Nobel per la pace dopo 11 mesi di prigionia decretata dal generale Jaruzelski e, nel 1990, diventa Presidente della Polonia a seguito di libere elezioni.

Il dato più ironico dell’operazione di Wajda sta nel fatto che il film è stato presentato pubblicamente proprio in concomitanza con la morte del generale Jaruzelski, di gran lunga il più fiero oppositore del fondatore di Solidarnosc. A parte questo, ennesima conferma che è molto difficile dimostrare l’esistenza del caso, «Walesa» di Wajda conferma la precisa volontà dell’autore di non indulgere su facili elementi drammaturgici per concentrarsi invece sui dati essenziali che gli permettano di arrivare alla definizione di un personaggio che, partendo dal nulla, ha fatto la storia. Ciò non toglie che la lunghezza del film e la sua struttura che alterna con cura Stato e famiglia non gli permettano di evitare fino in fondo i rischi del compito scolastico senza un reale afflato storico e psicologico. Certo, si può dire che l’interpretazione di Robert Wieckiewicz sia molto accurata e che i suoi baffi siano uguali agli originali. Forse troppo. Sarebbe stato meglio curare meno i dettagli e occuparsi della sostanza. In questo senso fa più figura Agnieszka Grochowska nel ruolo della moglie Danuta, fragile e incrollabile in situazioni di estrema complessità. È molto probabile che, mettendo mano al film, Wajda abbia fatto proprio il motto di Walesa: «Non vorrei, ma devo».WALESA – L’UOMO DELLA SPERANZA (Walesa – Czlowiek z nadziei) di Andrzej Wajda. Con Robert Wieckiewicz, Agnieszka Grochowska, Zbigniew Zamachowski, Maria Rosaria Omaggio. POLONIA 2013; Biografico; Colore/Bianco e nero