W.
DI FRANCESCO MININNI
Lo strano destino del film di Oliver Stone «W.», dedicato alla resistibile carriera del Presidente George W. Bush, dà un’idea abbastanza precisa di quanto il concetto di censura, da tutti condannato e aborrito, sia in realtà ancora vigente e operante. Il distributore Dall’Angelo, che ne ha acquisito i diritti per la distribuzione italiana, a seguito dei rifiuti (diciamo disinteresse) sia della Rai che di Mediaset, si è visto costretto a un’occasionale distribuzione in digitale (cioè un DVD) e a un passaggio televisivo su LA7.
Se «W.» si è visto in sala a Firenze, ad esempio, è stato soltanto grazie ai buoni uffici di Stefano Stefani e, in seconda battuta, dell’Istituto Stensen, che hanno dato, indipendentemente dalla qualità dell’opera, una bella lezione di democrazia a tanta gente. Sì, perché da tutto questo inutile ostruzionismo si poteva anche trarre l’impressione che, più di Michael Moore, spettasse a Oliver Stone il titolo onorario di Lupo Cattivo, anche in virtù delle sue precedenti incursioni nel ramo presidenziale con «JFK» (Kennedy) e «Gli inganni del potere» (Nixon). Tutto ciò rischiava di creare un alone mitico intorno a un film che, alla prova dei fatti, finisce per non fare paura a nessuno. Anzi, democrazia a parte, pensiamo francamente che l’operazione di Stone sia carente in tempistica e risultanze.
Una riflessione su George W. Bush, sul quale ormai è stato detto tutto e il contrario di tutto, avrebbe avuto un senso forse tra qualche anno, quando le conseguenze della sua politica interna ed estera avessero portato a qualche esito incontestabile. Oppure anche oggi, ma con qualche bel jolly da giocare o con una modalità più surreale che realistica. Invece «W.» è una sorta di reportage interiore che, partendo dal 1966 quando il Presidente era al college, attraversa alcuni momenti topici della sua esistenza privilegiando quelli privati (il rapporto con Bush padre, l’incontro con la moglie Laura, l’alcolismo) a quelli pubblici (le conferenze stampa, le decisioni in campo internazionale, un 11 settembre del quale si accenna appena), per disegnare il ritratto di un uomo che, a parte la discendenza familiare e una sorta di incrollabile fede, proprio non aveva le carte in regola per guidare il paese più potente del mondo. Alla fine di tutto questo, comunque, sorge spontanea la domanda: «Tutto qui?». «W.» è un film estenuante fatto interamente di dialoghi. Ma, diversamente dalle previsioni, è anche un film che rischia di prendere in contropiede quanti si attendessero un attacco frontale alla maniera di «Fahrenheit 9/11».
Sorprendentemente, Stone dimostra una sorta di amara pietà nei confronti di un uomo che, trovandosi in una posizione decisamente superiore alle proprie possibilità, non ha potuto fare altro che sbagliare lasciando che fossero altri a decidere per lui. In questo senso la storia di Bush è molto simile a quella di tanti altri Presidenti, più o meno direttamente responsabili e colpevoli, ma sicuramente vincolati da poteri più alti (ed occulti) del loro. L’eccezione è John Fitzgerald Kennedy, che volle fare di testa sua ed ebbe una celere risposta. Il film è comunque da vedere. Per alcune interessanti intuizioni visive (il Presidente nello stadio del baseball deserto), per la sobria interpretazione di Josh Brolin, per la possibilità che offre di entrare con una certa credibilità nelle stanze del potere, per quell’occasionale tono da commedia che evita accuratamente ogni caricatura o banalità. Ma ci vuole un’analisi più profonda (quindi tempo per riflettere) per venire a capo di un personaggio e di una politica che sono sicuramente più complessi di quanto Stone li abbia rappresentati.
W. (Id.) di Oliver Stone. Con Josh Brolin, Richard Dreyfuss, Thandie Newton, Toby Jones, Stacy Keach. USA/D/GB/AUS/HONG KONG 2008; Biografico; Colore