Volevo nascondermi
Nel riproporre (l’aveva già fatto Salvatore Nocita nello sceneggiato televisivo del 1977 con Flavio Bucci protagonista) la vicenda umana e artistica di Antonio Ligabue, pittore di Gualtieri nato nel 1899 e morto nel 1965, genericamente etichettato come naif, Diritti ha operato due scelte fondamentali che ne hanno valorizzato il lavoro. Da una parte l’assoluto pudore (non reticenza) nel mostrare il pittore al lavoro, rispettando una regola non scritta che indica nella presunzione il primo movente di mostrare un artista nell’atto della creazione dell’opera. Dall’altra la precisa volontà di far emergere la personalità e le motivazioni dell’artista dall’inquadramento nel periodo storico e dalla ricerca (o dal rifiuto) di un rapporto con gli altri.
Si capisce molto bene, ad esempio, come l’arte di Ligabue sia strettamente legata alla volontà di affrancarsi dal proprio aspetto fisico, dalle problematiche della salute, dalla necessità di trovare una valvola di sfogo per una sofferenza che diventa rabbia ed esplode nel furore del colore, negli animali esotici, negli autoritratti che riportano il reale aspetto fisico senza cercare mai una compensazione dal pennello. Ne esce, in un certo senso, proprio un autoritratto in quanto sembra che Diritti abbia seguito fedelmente le indicazioni rinvenibili nell’opera di Ligabue. Ed è un autoritratto forte, potente, che non chiede pietà né compassione ma soltanto la volontà di seguire un percorso corrispondente a quello che il pittore ha seguito nella realtà.
Antonio Ligabue (un cognome cui arriverà tardi, dopo che il nuovo marito di sua madre Laccabue accettò di riconoscerlo ma che lui volle cambiarsi perché odiava profondamente quell’uomo) nasce in Svizzera e vive i suoi primi anni adottato da una famiglia del luogo. La salute non lo aiuta: afflitto da rachitismo e deturpato dal gozzo, vive un difficile rapporto con quelli che considera i suoi genitori finché nel 1919 è espulso dalla Svizzera e mandato a Gualtieri, in Emilia Romagna, paese d’origine del suo vero padre. Dal 1928, grazie alla fiducia di un artista locale, si dedica interamente alla scultura e alla pittura a olio. E quando le sue opere cominciano a circolare, comincia anche a suscitare interesse critico e l’apertura di un mercato. Ma, fino in fondo, nonostante la passione per le motociclette e i periodici ricoveri in cliniche psichiatriche, a muoverlo sarà sempre e soltanto la ricerca di un amore inafferrabile e della libertà che l’arte sola poté dargli.
In effetti è difficile scindere l’opera di Giorgio Diritti dall’interpretazione di Elio Germano che, pur irriconoscibile sotto un trucco molto pesante, è riuscito a sfuggire alla tentazione dell’imitazione limitandosi (si fa per dire) a immergersi nel personaggio dandone un ritratto doloroso, ingenuo, sognatore e a suo modo pieno di speranza. Casomai si può imputare a Diritti di non aver saputo mantenere fino in fondo la compattezza e la sintesi della prima parte, allungando i tempi dell’età matura e causando un affaticamento narrativo dovuto a qualche ripetizione. D’altronde bisogna mettere in conto la difficoltà dell’operazione e l’esemplare rigore con il quale sono affrontati i sogni, gli incubi, le cose della vita e la rappresentazione di una provincia ora accogliente, ora diffidente, ora cattiva. Di certo Volevo nascondermi è un film di valore che non specula, non sbozza ritratti e soprattutto fa capire che l’arte di Ligabue arriva da lontano, da una vita di sofferenze e di repressioni che necessitavano di una scintilla di libertà. Le sue tigri e i suoi leoni, proprio come polli e conigli, si muovono nei paesaggi della bassa Padana come se ci fossero stati da sempre.
VOLEVO NASCONDERMI di Giorgio Diritti. Con Elio Germano, Oliver Ewy, Leonardo Carrozzo, Orietta Notari, Andrea Gherpelli, Paola Lavini. ITALIA 2020; Biografico; Colore