VALZER CON BASHIR
DI FRANCESCO MININNI
Il bianco e nero, attraversato unicamente dal lampo rosso del cappotto della bambina, si apriva finalmente ai colori del presente, i colori dei sopravvissuti. Era «Schindler’s List» di Steven Spielberg che, pur nella consapevolezza dell’orrore dell’olocausto, chiudeva su una speranza necessaria. «Valzer con Bashir», dell’israeliano Ari Folman, soldato all’epoca della guerra del Libano, non parla di quell’olocausto, ma di un altro: il massacro di Sabra e Shatila, in cui per mano dei falangisti cristiani libanesi e con la vigile indifferenza dell’esercito israeliano perirono in tre giorni più di tremila profughi palestinesi come rappresaglia per l’omicidio del neoeletto presidente libanese Bashir Gemayel. Folman ha scelto l’animazione per raccontare la sua storia. Un’animazione dura, grezza, elementare, che nel finale (come in Spielberg) si apre ai colori di immagini dal vero. Ma senza messaggi di speranza: sono le immagini dei morti.
Non è difficile valutare l’effettiva portata del film di Folman al di là di eventuali difetti tecnici che forse gli addetti ai lavori avranno la bontà di ignorare. Una riflessione del genere proveniente da un cittadino israeliano è di per sé importantissima e, per le modalità con le quali è presentata, molto indicativa delle vie che può seguire la cattiva coscienza per nascondere la polvere sotto i tappeti. Certo, anche le scelte tecniche hanno una motivazione profonda. È evidente, ad esempio, che le figure umane stilizzate, i movimenti rozzi, la scelta bidimensionale hanno lo scopo di far sì che il pubblico non si possa adagiare sulla raffinatezza di tocco, sulle meraviglie del 3D o su qualunque morbidezza di tratto ma debba invece accettare per intero un discorso diretto e pieno di spigoli vivi. Ma ciò che risulta più interessante e soprattutto credibile in quanto proveniente dal vissuto dell’autore, è la dimensione psicanalitica impressa al racconto. Ari, che non ricorda alcunché della propria esperienza bellica ma è tormentato da incubi inquietanti, va a cercare la verità nelle pieghe del proprio inconscio servendosi delle testimonianze di commilitoni, di un giornalista e di chiunque voglia intervenire.
Folman racconta che, una volta resa pubblica l’idea del film, è stato contattato telefonicamente e via Internet da più di cento «volontari» disposti a collaborare ciascuno con la propria esperienza. Da qui, dall’impossibilità di dare forma umana a tale congerie di incubi, l’idea vincente dell’animazione. Ciò ha permesso a Folman e ai suoi collaboratori Polonsky e Goodman di creare un racconto che spazia dal reportage di guerra all’inserto surreale e dal vissuto al sognato senza soluzione di continuità, finendo per allestire, prima delle terribili immagini finali, una vera e propria seduta psicanalitica alla ricerca della memoria perduta (in realtà rimossa o semplicemente nascosta). Tra ricordi di «Apocalypse Now» (il surfista col mitra), «Mattatoio 5» (la musica di Bach suonata da Glen Gould) e qualche horror magari dozzinale elevato a valore simbolico (l’uscita dei soldati dal mare, l’incubo dei cani rabbiosi), Folman fa emergere un’esigenza vitale e lodevole: qualunque essa sia, la ricerca della verità. E, anche se i ritmi del film sono talora lenti, non permette tuttavia che l’attenzione venga a cadere. Perché, in fondo, ciò che gli interessa è ribadire che quanto è accaduto e sta accadendo non rispecchia necessariamente la volontà di un popolo intero e che c’è gente disposta a pagare di persona, nel corpo e nello spirito, per capire e soprattutto far capire. «Valzer con Bashir» potrebbe essere una luce nella notte.
VALZER CON BASHIR (Vals im Bashir) di Ari Folman. ISR/D/F/USA 2008; Animazione; Colore