UOMINI SENZA LEGGE
DI FRANCESCO MININNI
Rachid Bouchareb, algerino nato nel 1953, non è certo uno che si tira indietro nel raccontare le più scottanti problematiche legate alla patria e ad altri paesi (segnatamente la Francia) che possano aver interferito con essa. Basti pensare che, a seguito del suo film del 2006 «Indigènes», il presidente Chirac decise di rivalorizzare le pensioni dei combattenti africani che avevano militato nell’esercito francese e lo stesso Bouchareb fu addirittura insignito della Legion d’Onore. C’era quindi molta attesa, dopo la pausa meditativa rappresentata dal toccante «London River», per «Uomini senza legge» che, in un arco di anni che va dal 1925 al 1962, anno dell’indipendenza algerina, racconta le vicende di tre fratelli che, cresciuti in patria e poi, dopo i massacri di Sétif e Guelma, trasferitisi in Francia, partecipano attivamente alla lotta del Fronte di Liberazione per il riconoscimento dei diritti di un popolo./p>
In realtà i combattenti attivi sono Messaoud e Abdelkader, mentre Saïd imbocca la strada della piccola delinquenza arrivando a gestire un locale notturno e a organizzare incontri di pugilato. Il percorso dei fratelli, naturalmente, finirà per incrociarsi di nuovo: sarà il momento delle scelte definitive, quando un sì o un no possono spezzare la linea sottile che divide la vita e la morte.
Bouchareb è un cineasta appassionato e capace sia di approfondimenti psicologici che di convincenti pagine di cinema epico, violento e spettacolare. Colpisce soprattutto il fatto che l’autore non perda occasione per dimostrare di conoscere il cinema americano «alto» e che in almeno in due circostanze lo citi apertamente. È evidente, infatti, che Saïd che uccide il signor Caïd, ormai vecchio ma colpevole di aver tolto la terra al padre, replica l’identico gesto del giovane Vito Corleone (Robert De Niro) nei confronti di don Ciccio ne «Il padrino parte II». E che l’incontro in un locale tra Abdelkader e l’inflessibile colonnello Faivre, che si conclude con la presa d’atto del fatto che «Noi due siamo uguali», è una replica dell’incontro tra Vincent Hanna (Al Pacino) e Neil McCauley (Robert De Niro, ancora lui) in «Heat» di Michael Mann.
Ciò non significa che «Uomini senza legge» sia semplicemente un omaggio al cinema di genere senza mettere in campo tematiche tuttora scottanti e non esattamente comode: ma indubbiamente le fonti di Bouchareb possono creare qualche ambiguità sulla destinazione ultima del suo lavoro. Ovvero, se «London River» era un film che andava dritto al cuore raccontando una storia di dolore e solidarietà, «Uomini senza legge» porta avanti le proprie tematiche umane, razziali e nazionaliste senza disdegnare qualche capatina nei negozi di giocattoli frequentati dagli americani. Niente di male: la passione di Bouchareb nel raccontare le vicende dell’indipendenza algerina (in un certo senso «La battaglia di Algeri» vista dalla Francia) è indubbiamente il tema dominante e conferisce al film un impeto e una scansione drammatica che allontanano ogni dubbio di speculazione spettacolare.
Alla fine le considerazioni sui legami familiari, sulle interferenze straniere in patria, sulla necessità di lottare anche duramente per ottenere il riconoscimento dei diritti umani, civili e politici, sull’utilità del sacrificio individuale per arrivare a una vittoria globale e, a margine, sul fatto che difficilmente l’uso della violenza potrà mai portare ad altro che violenza, sono decisamente preponderanti e configurano «Uomini senza legge» forse come un melodramma, ma anche come la testimonianza appassionata di un popolo che ha dovuto guadagnarsi ogni singolo metro del lungo cammino verso la libertà.
I protagonisti sono scelti bene e rispondono alle esigenze dei personaggi e del film. Jamel Debbouze (Saïd) è bravo nel rendere l’idea di un uomo che, senza dimenticare la famiglia, scende a compromessi con il mondo che dovrebbe combattere, mentre Sami Bouajila (Abdelkader) è quello che rinuncia a una vita propria per dedicarsi interamente alla causa. Entrambi erano già in «Indigènes». Bouchareb resta comunque un autore da tenere d’occhio: a quanto pare sa quel che vuole.