«UN’OTTIMA ANNATA»
Uno così, a caldo, potrebbe essere scambiato per un mercenario, ovverosia una persona che mette i propri talenti (indiscutibili) al servizio del miglior offerente. E probabilmente lo è. Anche riflettendo sul suo ultimo film, «Un’ottima annata», che è ancora una volta anomalo per modalità e procedure, si arriva alla conclusione che, a voler forzare la mano alla realtà, l’unico filo conduttore che può essere individuato è quello dell’elogio dell’individualismo, che nel bene e nel male sembra caratterizzare la visione del passato e del presente dell’autore.
Il soggetto in esame è Max, broker londinese, che torna in Provenza quando la morte dello zio Henry gli consegna l’eredità di una tenuta campestre con annesso vigneto. È ovvio che Max, che lì ha passato gli anni dell’infanzia e della prima adolescenza ma ormai se ne sente lontanissimo, vorrebbe liberarsi il prima possibile della proprietà vendendo al miglior offerente. Ed è altrettanto ovvio che un progressivo ritorno degli antichi sentimenti e l’incontro con Fanny (il mai dimenticato primo bacio ) gli faranno radicalmente cambiare idea e, di conseguenza, vita.
A dire il vero, è tutto così ovvio che si capisce anche soltanto assistendo al trailer del film. Che, indubbiamente, trasuda professionalità da tutti i pori, ma manca di quella sincerità che avrebbe potuto trasformarlo in un documento umano invece di relegarlo nel limbo delle favole che fingono realtà per accattare il maggior numero possibile di consensi da parte del pubblico pagante. Si possono pertanto ritenere sprecati i talenti di Ridley Scott, del protagonista Russell Crowe (più a suo agio come cinico operatore di borsa che come sorridente viticoltore) e del direttore della fotografia Philippe Le Sourd, che si limita a spedirci una lunga serie di cartoline con la scritta sovrimpressa «Saluti dalla Provenza».
Senza contare una serie di omaggi che non risultano chiari: ci sono un cagnolino di nome Tati e una serata, poi disturbata dalla pioggia, in cui si proiettano spezzoni, tra gli altri, de «Le vacanze di monsieur Hulot» e «Mio zio». Se si tratta di un ricordo di un grande del cinema caro a Scott è un conto. Se invece l’omaggio vuol indicare una qualche comunanza di stile o motivazioni, ce ne sfugge completamente la ragione: «Un’ottima annata» potrebbe tutt’al più reclamare qualche (remoto) grado di parentela con l’ottimismo di Frank Capra, non certo con la poesia minimalista di Jacques Tati. Resta valido il principio che per trasmettere un messaggio positivo è indispensabile crederci e che la differenza tra bontà e buonismo non è soltanto una questione di grafia.