UN’ALTRA GIOVINEZZA

DI FRANCESCO MININNI

Cosa può venire in mente dicendo Francis Coppola? Molte cose. Gigantismo. Coraggio. Perfezionismo. Talento. Sanguigno. Esasperato egocentrismo. Analista del presente e del passato recente. Ragionevolmente eclettico. Questo e molto altro. Mai, però, surreale, criptico, inafferrabile. Nei dieci anni che lo separano dal suo film precedente, «L’uomo della pioggia», Coppola non è stato inattivo, ma ha anche avuto molto tempo per riflettere. E, leggendo il libro di Mircea Eliade da cui è tratto «Un’altra giovinezza», gli può essere venuto in mente di raccontare una storia che, umanamente e professionalmente, gli permettesse di ricominciare da zero. Questo, a rigor di termini, è coraggio, mischiato però con una sorta di megalomania che può portare alla convinzione di essere capaci di fare di tutto e di farlo bene.

La storia del film può essere raccontata in molti modi. Il più semplice dovrebbe essere questo: Dominic Matei, studioso di lingue antiche, è colpito da un fulmine nel 1938. Non muore. Anzi, riacquista incredibilmente la giovinezza ed acquisisce particolari poteri intellettivi che, assommati all’incontro con Veronica, gli danno la possibilità unica di portare a compimento la propria opera scientifica sul linguaggio umano. Sceglierà di rinunciare per amore.

Raccontato così, «Un’altra giovinezza» potrebbe essere un romanzone sentimentale. Coppola, però, ha scelto di raccontarlo in un altro modo, facendo il possibile per rendersi il percorso il più difficoltoso possibile. Se conveniamo sul fatto che non è nelle sue corde raccontare per simboli, svariare da un’epoca all’altra non storicamente ma metaforicamente, soffermarsi in una dimensione parallela che induce a chiedersi quali siano i confini tra sogno e risveglio, bisognerà concludere che il suo film, non poetico né evocativo, si riduce a un’esercitazione di nichilismo freddamente cerebrale che mette a dura prova la resistenza del pubblico e dà certezze soltanto sul fatto che a conclusione di una vita non può esserci che una morte. E’ evidente che un giudizio così lapidario non basta e non rende il giusto valore a un’operazione che comunque ha un senso ben preciso al di là di quello del racconto. Fatto sta che il ritmo lentissimo, l’assenza di qualunque passione, la manipolazione a freddo di un materiale potenzialmente interessante, la mancanza di coordinate surreali capaci di scandire i diversi passaggi del racconto, rendono difficilissimo seguire il ragionamento di Coppola. In un certo senso, un ragionamento logicamente semplice reso complicatissimo dalle scelte espressive che, per una volta, l’autore non sembra in grado di padroneggiare. «La conversazione» e «Apocalypse Now» erano grandi film simbolici che cominciavano e finivano con i piedi per terra. «Un’altra giovinezza», invece, vive di intellettualismo, ma soprattutto di un sovrarealismo psicanalitico che (come dimostrò anche «Tre donne» di Robert Altman) in America non è di casa. Se questo dev’essere il pedaggio che Coppola paga a una nuova rinascita d’ispirazione, lo paghiamo volentieri insieme a lui.

UN’ALTRA GIOVINEZZA (Youth without Youth) di Francis Ford Coppola. Con Tim Roth, Bruno Ganz, Alexandra Maria Lara, Marcel Iures. USA 2007; Drammatico; Colore