UNA SCONFINATA GIOVINEZZA

DI FRANCESCO MININNI

L’Alzheimer, patologia degenerativa delle cellule cerebrali, è una malattia irreversibile della quale non si muore. Semplicemente si perdono i contatti con la realtà e ci si predispone a un futuro che, in sostanza, non c’è, soffrendo nei rari momenti di lucidità e facendo soffrire immensamente i depositari degli affetti familiari e sentimentali. Quindi, concepire un film su tale patologia implica in partenza la sicurezza della mancanza di un lieto fine. Non implica, però, la mancanza di sentimenti, pietà, commozione, dolore: tutto quello che al cinema, se non attentamente controllato, porta a lacrime facili e a qualche pericoloso «ismo» come sentimentalismo e pietismo.

Per raccontare una storia sull’Alzheimer, insomma, più che grandi registi bisogna essere straordinari equilibristi. C’è riuscita Sarah Polley con «Lontano da lei», ci riesce Pupi Avati con «Una sconfinata giovinezza».

Lino e Chicca, vicini al traguardo dei venticinque anni di matrimonio, si amano ancora (ancora di più) nonostante incidenti di percorso e la frustrazione di non aver mai avuto figli. Le amnesie di Lino, però, preoccupano la moglie, che ben presto vede confermate le sue fosche previsioni. L’Alzheimer porta Lino, stimato giornalista sportivo, a scollegarsi dal presente e a tornare all’adolescenza, a quel periodo in fondo felice nonostante l’evento traumatico della perdita dei genitori in un incidente stradale. E Chicca capisce che, prese le opportune contromisure mediche, l’unico baluardo alla degenerazione del male può essere soltanto tutto l’amore che può.

Conosciamo Pupi Avati per le sue appassionate elegie del passato e, di pari passo, per le sue gelide radiografie del presente.

In «Una sconfinata giovinezza» l’autore sorprende quanti lo credevano ancorato separatamente alle due modalità riuscendo a inventare una straordinaria simbiosi. Che è, poi, il motivo principale della riuscita del film. Senza i flashback dell’adolescenza di Lino sull’Appennino tosco-emiliano, infatti, il film difficilmente avrebbe evitato gli «ismi» di cui sopra e sarebbe stato, forse, un decoroso affresco sulla disperazione. Il passato, invece, entra prepotentemente in gioco e, anche prima di capire che si tratta delle tappe successive della regressione mentale del protagonista, si fa apprezzare per i tocchi paesaggistici, per la semplicità di un’esistenza che forse non c’è più, per certi episodi difficili da raccontare (la ricerca del brillante perduto, la rozza iniziazione sessuale, il modo dello zio di mangiare i maccheroni) e straordinari da vedere.

Poi, quando si entra nel meccanismo del flashback come immagine di un disagio mentale, «Una sconfinata giovinezza» assume una caratura decisamente superiore alla media e, delicatamente quanto fermamente, ci conduce per mano verso uno dei finali più belli del cinema di Avati dove, nonostante la tristezza e il dolore, la parola speranza si rivela nel suo significato più profondo ed elevato riuscendo ad andare oltre la malattia, oltre il rimpianto, oltre la morte stessa. Compagni di viaggio dell’autore sono, in questo difficile percorso, uno straordinario Fabrizio Bentivoglio, capace di controllare ogni minima sfumatura, e una intensa Francesca Neri, capace di piangere spesso senza apparire mai finta o eccessiva. Si rivedono anche due vecchi amici di Pupi, Lino Capolicchio e Gianni Cavina, che contribuiscono in misura notevole all’omogeneità dell’insieme.

Tra tutte le risultanze tematiche del film, ne vorremmo sottolineare due che ci sembrano particolarmente rilevanti.

La prima è la constatazione da parte di Chicca che la regressione di Lino le ha dato la responsabilità materna per quel bambino che ha sempre desiderato senza mai poterlo avere.

La seconda, più importante, è la straordinaria intuizione dell’autore nel suggerire che, per quanto sia evidente che Lino si è smarrito sull’Appennino per non fare più ritorno, non si deve parlare di morte.

Lino è stato in un certo senso risucchiato da quel passato che, in fondo, è l’unico posto dove la malattia gli consente di essere felice.

UNA SCONFINATA GIOVINEZZAdi Pupi Avati. Con Fabrizio Bentivoglio, Francesca Neri, Lino Capolicchio, Gianni Cavina.ITALIA 2010; Drammatico; Colore