Una parola che fa paura: «IL MIRACOLO»

di Francesco MininniNon si può certo dire che Edoardo Winspeare ami le vie diritte o le cose semplici. Il giovane cineasta, che vive nel Salento ma ha radici in Russia, Spagna e Boemia, ama il rischio, anche a costo di avere una distribuzione limitata che lo porta a molti festival e a poche sale cinematografiche. Se in «Sangue vivo» aveva sfiorato il dramma rusticano con forti elementi di folklore, ne «Il miracolo» rischia ancora di più cercando di sviscerare una parola che, la si metta come si vuole, continua a far paura.Tonio, dodicenne di Taranto, è investito da un’auto guidata da una ragazza «difficile» che fugge senza soccorrerlo. In ospedale, poco prima di essere dimesso, il bambino tocca un degente in pieno arresto cardiaco provocando (così crede lui) il suo ritorno alle funzioni vitali. Da questo momento la sua vita procederà su due binari: da una parte il rapporto con la ragazza che l’ha investito e che è tornata a chiedere sue notizie, dall’altra la necessità di raccontare a qualcuno l’episodio del «miracolo» per subirne poi tutte le conseguenze. Non è poco per un ragazzino di appena dodici anni che a quanto pare non è destinato a crescere in pace…Il rischio maggiore che Winspeare si è assunto realizzando «Il miracolo» è quello di sfuggire ogni strada che potesse risultare prevedibile e limitativa. In questo senso, ad esempio, è ben risolto il problema dell’interferenza dei mass-media, che è tenuto saggiamente in secondo piano per non cadere nella trappola della visibilità ad ogni costo e del carrozzone mediatico.

È evidente che l’asse portante del film non sta nella capacità di Tonio di guarire la gente, ma nel suo rapporto discreto e salvifico con la ragazza che l’ha investito e che nasconde dietro l’apparenza della ribelle un mondo di sofferenza e un disperato bisogno di aiuto. In questo senso «Il miracolo» è assimilabile ai difficili percorsi dei fratelli Dardenne, da «La promesse» a (soprattutto) «Rosetta» a «Il figlio»: una lunga strada in salita per arrivare a una soglia di speranza. A differenza dei Dardenne, però, Winspeare possiede uno stile sanguigno, illuminato dalla luce del Salento e strettamente legato all’elemento musicale (in alcuni casi fin troppo invadente). E possiede, oltre a un preciso gusto visivo, una notevole capacità nel trovare le facce giuste per i suoi personaggi: la sofferta Stefania Casciaro e l’intenso Claudio D’Agostino, oltre a primari e comprimari mai casuali, ci guidano alla scoperta di una verità forse scontata ma che, dati i tempi, è opportuno ripetere fino alla noia. I miracoli esistono, eccome: ma il più grande è sempre l’amore, quello che ti fa tendere la mano a un prossimo che non l’ha chiesta e che forse neanche ringrazierà.

IL MIRACOLO di Edoardo Winspeare. Con Claudio D’Agostino, Stefania Casciaro, Carlo Bruni. ITALIA 2003; Drammatico; Colore