Una notte di 12 anni

Le difficoltà di ricostruire e raccontare una dittatura, sia dall’interno che dall’esterno, sono sovente legate alla retorica, ad eccessi di passione, al rischio di concentrarsi su storie individuali perdendo di vista l’obiettivo globale o più semplicemente alla mancanza di capacità di sintesi. Nel caso di Una notte di 12 anni di Alvaro Brechner ci sembra di poter dire che gli eventuali ostacoli siano stati superati.

Brechner è nato a Montevideo nel 1976, ma dopo essersi laureato in Scienze della Comunicazione Sociale nel 1998 ha ottenuto un Master a Barcellona e dal 2000 vive e lavora a Madrid, dove ha realizzato tre film apprezzati e premiati. Quest’ultimo, Una notte di 12 anni appunto, mette in scena la dittatura militare del suo paese seguendo passo passo i dodici anni di prigionia di tre esponenti dei Tupamaros nei confronti dei quali l’obiettivo era «Visto che non possiamo ammazzarli, li condurremo alla follia». Il che significava celle via via sempre più strette, privazione dei diritti umani, oscuramento delle finestre per mantenere una situazione di buio, divieto assoluto di parlare e via dicendo. I tre prigionieri in questione, però, non erano tre qualunque. José «Pepe» Mujica, dopo dodici anni di isolamento, sarebbe diventato Presidente dell’Uruguay.

Mauricio Rosencof, poeta e drammaturgo, diventerà assessore alla Cultura a Montevideo. Eleuterio Fernández Huidobro, detto «el Ñato», sarà senatore e Ministro della Difesa. Questo non vuol dire che fossero predestinati o raccomandati, né esenti da sofferenze o vuoti mentali, né che per loro sia stato più facile che per altri. Semplicemente (per modo di dire) vuol dire che la loro forza interiore, l’ansia di libertà, la consapevolezza che la notte sarebbe comunque dovuta finire sono state più forti di qualunque prepotenza.

Brechner ha saggiamente evitato il semplice coinvolgimento emotivo, che avrebbe portato a un forte rischio di pietismo. Ha invece insistito sull’isolamento, sugli sporadici contatti con le guardie, sulla degradazione fisica dei prigionieri (definiti dal regime «ostaggi», in quanto ogni evento esterno avrebbe portato alla loro esecuzione), sui diversi modi di non perdere contatto con la propria esistenza. Così Rosencof instaura uno strano rapporto con i carcerieri, dovuto alla propria capacità di ascoltatore e alla propria perizia letteraria. In questo modo il sergente Alzamora si rivolgerà a lui per scrivere lettere alla donna che ama. Huidobro, apparentemente il più fragile, si aggrappa disperatamente ai sogni a occhi aperti che riguardano la propria famiglia come obiettivo da raggiungere. E Mujica, che non disdegna i sogni, trova persino conforto in qualche botta di follia. Fatto sta che, un’assurdità dopo l’altra (memorabile quella delle manette che legano il braccio a un tubo e impediscono di raggiungere la corretta posizione per defecare), il referendum schianta il potere militare e consente la liberazione dei sopravvissuti, che potranno riprendere il loro posto nel consesso civile.

Una notte di 12 anni è un film dalla struttura particolare. Composto da differenti episodi che potevano frammentare, risulta invece un corpus unico nel quale tutto confluisce a chiarire il concetto di umana dignità, di volontà di sopravvivenza, di resistenza (vera resistenza) all’ottusità del potere e di fortissima aspirazione alla libertà. Ben diretto da Brechner, e meravigliosamente fotografato da Carlos Catalàn, il film chiede e ottiene una partecipazione totale da parte del pubblico. Grazie anche al contributo di tre attori che si sono assolutamente immedesimati nei ruoli finendo per dimagrire fino a 15 chilogrammi, cioè Antonio de la Torre (Mujica), Chino Darin (Rosencof) e Alfonso Tort (Huidobro), il film di Brechner riporta il cinema sociale, civile e politico a livelli di eccellenza. Come quando Costa-Gavras realizzava Z – L’orgia del potere.

UNA NOTTE DI 12 ANNI (La Noche de 12 Años) di Alvaro Brechner. Con Antonio de la Torre, Chino Darin, Alfonso Tort, Soledad Villamil, César Bordòn. U/E/RA/F 2018; Drammatico; Colore.