Un grande amore senza storia: «IL MANDOLINO DEL CAPITANO CORELLI»

DI FRANCESCO MININNI

Nel 1943, nell’isoletta greca di Cefalonia, si consumò il massacro di quasi diecimila soldati italiani, uccisi dai tedeschi quando, dopo la caduta di Mussolini, l’alleanza cominciò a vacillare. Quei soldati potevano scegliere diversamente: ma scegliendo di opporsi segnarono la propria fine e soprattutto il primo atto di ribellione totale nei confronti del nazismo. Questa è la storia. Ma ne esiste un’altra, narrata in un libro di gran successo di Louis de Bernieres e sceneggiata per il cinema da Shawn Slovo con il titolo Il mandolino del capitano Corelli, diretto da John Madden.

È la storia del capitano Corelli, che arriva a Cefalonia col mandolino a tracolla (strumento dal quale non si separerà mai), si innamora della bella Pelagia, già promessa al giovane Mandras, assiste impotente al massacro dei suoi uomini, sfugge alla morte per miracolo e, qualche tempo dopo, torna sull’isola per riprendersi la donna. Romantico, persino elegiaco: nelle intenzioni voleva forse essere una parola di pace e d’amore anche nei tempi più cupi. Ma questa non è la storia.

John Madden aveva inventato la vita di Shakespeare, ottenendo un grande successo e qualche Oscar, in «Shakespeare in Love». Sappiamo tanto poco del bardo inglese, che l’invenzione ci era piaciuta: era lecito, persino creativo, inventare su un argomento del genere. Ma non a Cefalonia. Trasformare una delle pagine più vergognose della storia del secolo scorso in un acquerello con l’amore in primo piano e il massacro a fare da comparsa, non ci sembra un’operazione né lecita né furba. Non è lecita perchè esistono documenti e persino testimonianze dirette che non si possono ignorare. Non è furba perchè, a quanto pare, i 57 milioni di dollari spesi dalla Universal e dalla Miramax per realizzare il film non torneranno in cassa. Per lavorare di fantasia sulla seconda guerra mondiale bisogna scegliere episodi marginali o addirittura inventarli di sana pianta. Ci sono due capolavori, «Il grande dittatore» di Chaplin e «Vogliamo vivere» di Lubitsch, che la dicono lunga in proposito.

Ma la dice lunga anche «Mediterraneo» di Gabriele Salvatores che, con tutti i suoi difetti, aveva il pregio di utilizzare la guerra per parlare d’altro. Ebbene, se da «Il mandolino del capitano Corelli» togliete la parte del massacro (che poi non sembra un massacro: giusto qualche esecuzione a tradimento), diventa come per magia «Mediterraneo»: un’isoletta greca, soldati italiani che fraternizzano con la popolazione locale, canti e balli in paese e sulla spiaggia, persino la perdita della cognizione del tempo. Le differenze? Quelli di Salvatores erano poveracci che scappavano da qualcosa per andare incontro a chissà cosa. Questi di Madden sono sempre poveracci: ma la mitologia da una parte e la spocchia britannica dall’altra li dipinge come un’armata Brancaleone della quale nessuno serberà memoria. Qualcuno dovrebbe far sapere agli inglesi che si sono sbagliati.

IL MANDOLINO DEL CAPITANO CORELLI (Captain Corelli’s Mandolin), Usa 2001, regia di John Madden, con Nicolas Cage, Penelope Cruz