Un giorno di pioggia a New York
Attendevamo l’inverno scorso il nuovo film di Woody Allen, Un giorno di pioggia a New York, girato nel 2017 ma bloccato da Amazon, che doveva distribuirlo, a causa del riacutizzarsi delle polemiche sulla vita privata dell’autore. A noi sembra che un’iniziativa del genere, casomai, avrebbe dovuto essere drastica, come ad esempio bloccarlo definitivamente (che sarebbe stata una cosa inaudita e in un certo senso orribile). Amazon, invece, si è limitata a non fare uscire il film negli Stati Uniti cedendone i diritti a Lucky Red per lo sfruttamento europeo. Quindi ci hanno comunque guadagnato qualcosa. E dunque alla fine non è Woody Allen a fare la figura peggiore. Anche perché il suo film, una intelligente rivisitazione della commedia anni 30 con l’alta società e un elemento perturbante, si dimostra particolarmente rilassato e, con l’eleganza consueta, ricco di spunti.
Gatsby, rampollo di una famiglia bene da cui cerca in ogni modo di distaccarsi, frequenta il college di Yardley in Pennsylvania, ma fa ritorno a New York quando la sua fidanzata, Ashleigh, è incaricata da un giornale locale di intervistare il regista Roland Pollard. I due fanno un programma di luoghi da visitare a Manhattan, ma il destino decide diversamente. Pollard è in crisi, lo sceneggiatore Ted Davidoff deve affrontare il tradimento della moglie, la star Francisco Vega ha un fascino irresistibile e tutti si attaccano a Ashleigh per motivi diversi monopolizzandola per tutto il giorno. Così a Gatsby tocca partecipare al party annuale di sua madre, che cercava in ogni modo di evitare. E invece proprio dalla madre avrà un’illuminazione che gli permetterà di cominciare a risolvere i propri problemi. Naturalmente senza Ashleigh, che tornerà a Yardley.
Una importante differenza tra Un giorno di pioggia a New York e molti dei precedenti film di Allen è l’assenza di un vero alter ego. Gatsby, a parte il fatto di scegliere New York (come faceva Bobby Dorfman in Café Society), ha poche caratteristiche dell’autore. Refrattario alle imposizioni familiari, indeciso sulla strada da seguire nella vita, sostanzialmente romantico e perennemente alla ricerca della quadratura del cerchio, è soprattutto un buon ascoltatore che parla poco e raramente perde la pazienza.
Casomai è Ashleigh, costantemente agitata e propensa a farsi travolgere dagli eventi, a mantenere qualche tratto dell’autore che, da parte sua, sembra più intenzionato a prendere di mira i boss dell’industria cinematografica che ad occuparsi delle nevrosi proprie e altrui. Non è un caso se Ashleigh, interpretata con autentica immedesimazione da Elle Fanning, interagisce nell’ordine con un regista, uno sceneggiatore e una star, mentre Gatsby è di conseguenza pilotato a risolvere le proprie idiosincrasie familiari in un memorabile faccia a faccia con una madre cui assomiglia più di quanto non abbia mai pensato.
Poi, a conti fatti, la donna ideale resta sempre New York, che nei giorni di pioggia ha una malinconia irresistibile. E così, tra Soho e Central Park, si dipana una vicenda che magari non è niente di straordinario ma che, grazie alla spettacolare fotografia di Vittorio Storaro, alle canzoni di Irving Berlin e allo sviscerato amore di Woody Allen, riesce veramente a convincerci che non c’è posto migliore al mondo («O sei a New York o non sei da nessuna parte») e che in nessun altro luogo Gatsby (un Timothée Chalamet guidato da Allen in un minuzioso lavoro di sottrazione) avrebbe potuto tirare le fila della propria esistenza.
Se ne esce con una sensazione di serenità che non è di casa nelle problematiche di Woody Allen. Basta lasciarsi guidare da un narratore espertissimo e prendere per buona la fandonia che ogni evento dell’esistenza è governato da una bizzarra entità chiamata destino. Se così fosse, allora sì che dovremmo preoccuparci.
UN GIORNO DI PIOGGIA A NEW YORK (A Rainy Day in New York) di Woody Allen. Con Timothée Chalamet, Elle Fanning, Liev Schreiber, Jude Law, Selene Gomez, Cherry Jones. USA 2019; Commedia; Colore.