Tutti lo sanno
Il cinema di Asghar Farhadi, iraniano che continua a lavorare nel proprio paese ma non disdegna trasferte in Francia e adesso in Spagna, è legato ad alcune costanti. Il dramma familiare, le mezze verità che di solito è difficile trasformare in verità incontrovertibile, dinamiche complesse tra personaggi diversi, tracce del thriller (evidentemente il genere più amato dall’autore), l’importanza del passato quindi della memoria, confronti tra generazioni differenti senza vincitori né vinti, un ritmo incalzante che coinvolge e un’idea della vita che dovrebbe comunicare a chiunque qualcosa di proprio.
Già ci era sembrato, ne Il cliente, che queste specifiche potessero trasformarsi in una maniera non sempre illuminata dall’ispirazione. Adesso Tutti lo sanno amplifica la problematica senza avere carte sufficienti per contrastare la prevalenza dei luoghi comuni. Questo non significa, naturalmente, che il film sia sbagliato in assoluto. Ma di certo non mostra Farhadi al meglio della propria condizione e, per svariati motivi, fa sì che tutto scivoli pericolosamente verso la telenovela (o se preferite la soap opera). Tutte cose già presenti nei film di Farhadi, ma come elemento critico e non come asse portante.
Laura, sposata in Argentina con Alejandro, torna in Spagna, nella provincia della Rioja, in occasione del matrimonio della sorella. Qui ritrova Paco, amore di gioventù mai dimenticato. La notte del matrimonio, però, la figlia di Laura, Irene, scompare. Un sms comunica che si tratta di un rapimento, che la polizia non dovrà essere allertata e che tutto si risolverà con il pagamento di un grosso riscatto. Alejandro arriva dall’Argentina. Ma i soldi non ci sono e l’unico che può provvedere vendendo la sua vigna è Paco. Mentre vengono a galla verità mai dette, i rapporti tra i personaggi si complicano. E senza le sue medicine, Irene potrebbe anche morire.
Anche scorrendo queste poche righe di trama, si capisce bene come l’interesse di Farhadi sia concentrato sulle dinamiche familiari e sull’importanza del passato. Rispetto ad altri film, però, l’autore iraniano sembra dedicare troppo spazio alla descrizione ambientale soffermandosi soprattutto all’inizio su una festa matrimoniale davvero troppo dilatata nei tempi. Ovvero, dà l’impressione di dilungarsi senza motivo su una circostanza che in metà tempo avrebbe dato le stesse informazioni. Così facendo, però, alimenta i sospetti a riguardo della maniera. Come se, prima di far decollare quella che chiameremo azione, avesse ritenuto necessario utilizzare molti minuti per trasmettere un’idea di normalità.
E anche quando l’idea del rapimento prende forma, appare subito evidente che i responsabili debbano essere persone molto vicine (se non interne) alla famiglia. Tutto questo conduce alla necessità di dare comunque una soluzione alla vicenda, cioè di individuare uno o più colpevoli, di ribadire un «ve l’avevo detto» non necessario e di giungere a una conclusione nella quale nessuno potrà andarsene interamente pacificato. Nel frattempo, ovviamente, saranno venute alla luce tematiche blandamente psicanalitiche, fantasmi sepolti ma non dimenticati, echi del passato che necessariamente si proiettano sul presente.
Farhadi non dimentica certo come fare cinema e regala qualche scena di grande intensità. Il confronto tra Paco e la moglie Bea, ad esempio, è un momento altamente drammatico dove il non detto suona più forte delle parole. Ma alcuni simbolismi poco chiari (la torre campanaria della chiesa, piena di ingranaggi e abitata dai piccioni oltre che derivante da La donna che visse due volte) e la tendenza a rappresentare le vicende familiari come una saga che prosegue negli anni toglie a Tutti lo sanno buona parte del suo potenziale significato e del suo vigore espressivo. Penelope Cruz e Javier Bardem, come buona parte del numeroso cast, fanno il loro dovere, magari con qualche lacrima di troppo.
TUTTI LO SANNO (Todos lo saben) di Asghar Farhadi. Con Penelope Cruz, Javier Bardem, Ricardo Darin, Eduard Fernandez, Barbara Lennie. FRANCIA/SPAGNA 2018; Drammatico; Colore.