«TROY»
Si noterà che in «Troy» si parla spesso di Zeus, di Apollo, di Marte (facendo un’allegra confusione tra nomi greci e nomi latini) senza che mai l’intervento degli dèi sia mostrato come tale. Manca Cassandra, che annunciava le disgrazie e per questo era ritenuta pazza. Manca Laocoonte, che mise in guardia i troiani dal cavallo di legno e per questo fu ucciso da un serpente marino inviato da Poseidone. Paride uccide Achille colpendolo con una freccia nel tallone vulnerabile: ma nessuno ci ha detto alcunché del perché Achille fosse vulnerabile proprio in quel punto del corpo. Diciamo la verità: si finisce per rimpiangere un filmetto come «Scontro di titani» di Desmond Davis, nel quale gli dèi giocavano con gli esseri umani come pedine su una scacchiera. E si rimpiange, soprattutto, un regista come Sergio Leone, l’unico che avrebbe saputo dare vita agli eroi di Omero trasmettendo tutta la forza epica e il pathos drammatico che l’occasione richiedeva.
Petersen, invece, è soltanto un esecutore che sa gestire un budget multimiliardario e costruire un film che, comunque vada, sarà un successo. Senza problemi di stile, senza domande impegnative, senza alcuna profondità. «Troy» segna l’ennesimo trionfo commerciale di un’industria cui le individualità di spicco danno fastidio: meglio icone senza carattere che il pubblico riconosce e che per questo sono rassicuranti. Anche a costo di uccidere il buon senso e la fantasia.
TROY di Wolfgang Petersen. Con Brad Pitt, Eric Bana, Orlando Bloom, Diane Kruger, Peter O’Toole. USA 2004; Avventura; Colore