TROPA DE ELITE

DI FRANCESCO MININNI

L’Orso d’oro all’ultimo Festival di Berlino è stato vinto da un film brasiliano, «Tropa de elite» di José Padilha. Già autore di «Bus 174», Padilha viene accusato alternativamente di comunismo o fascismo a seconda che adotti il punto di vista delle favelas o quello della polizia. Diciamo subito che, siccome l’accusa di fascismo per «Tropa de elite» è del tutto infondata, è molto probabile che lo sia anche quella di comunismo, e che in sostanza Padilha si dichiara buddista. La sua intenzione, nell’affrontare i metodi, le procedure e le problematiche della squadra speciale della polizia denominata BOPE, non è certo quella di sostenerne la necessità o di difenderne l’operato. La sua intenzione è quella di parlare di condizionamento della personalità, di allineamento di sistemi tra polizia e delinquenza, comunque dell’esistenza di un calderone nel quale si ritrovano a bollire sia poliziotti che criminali, ma nel quale raramente finiscono rappresentanti dei ceti alti. Così “Tropa de elite» diventa un requiem per la povera gente che, da una parte o dall’altra della barricata, è comunque destinata a morire.

L’occasione è rappresentata dal viaggio in Brasile di Giovanni Paolo II nel 1997. Le autorità, per la sicurezza del pontefice, hanno la necessità di «ripulire» la favela Turano e affidano l’incarico alla squadra speciale. Da qui famiglie distrutte, destini cambiati, personalità stravolte, torture, omicidi, violenze, tutto in nome della normalità. Quel che manca, naturalmente, è una via d’uscita.

Acceso da sacro furore e appassionato da come vive e muore la sua gente, Padilha si lancia in una narrazione frenetica, nervosa e con la macchina da presa sempre addosso ai personaggi ottenendo, nella prima parte del film, un indiscutibile effetto di coinvolgimento in un caos che, nei quartieri poveri di Rio de Janeiro, dovrebbe essere all’ordine del giorno. Poi, però, commette un errore strutturale, suddividendo il film in due blocchi distinti. Il primo riguarda l’operato della polizia ordinaria, narrato comunque da un ufficiale della squadra speciale. Il secondo si concentra unicamente sull’addestramento dei pretendenti alla squadra speciale. Naturalmente ci sono personaggi che appartengono all’una e all’altra sezione, che dovrebbero essere giustificati dal meccanismo del flashback. E c’è soprattutto il personaggio-chiave, Matias, che si trasforma da poliziotto studente con ambizioni da avvocato in spietato carnefice della squadra speciale. Nel tentativo di far quadrare tutto, Padilha non si rende conto che il suo film assume un andamento completamente sbilanciato e che, in un certo senso, perde di verità. Se la prima parte è nutrita da una forza istintiva che ci consegna pagine degne di un neorealismo ruvido e spietato, la seconda non fa che replicare l’addestramento dei marine così come codificato da Stanley Kubrick in «Full Metal Jacket». Di conseguenza, il film perde di omogeneità e va a cadere in una rappresentazione di maniera che, oltre ad essere prevedibile, sembra anche interminabile. Tutto questo, naturalmente, va rapportato al fatto che comunque girare un film così in Brasile non dev’essere affatto facile, senza contare che Padilha può anche aver commesso errori dovuti all’inesperienza o al forte impatto dell’argomento sul proprio immaginario. Da qui a un Orso d’oro ce ne corre.

TROPA DE ELITE (Id.) di José Padilha. Con Wagner Moura, Caio Junqueira, André Ramiro, Maria Ribeiro. BRASILE 2007; Drammatico; Colore