«TRANSAMERICA»
Stanley Ousborne è sul punto di recidere i legami col passato e di sottoporsi a un intervento chirurgico che lo trasformerà in Sabrina. Accade però che gli giunga la notizia che un suo legame di anni prima abbia dato come risultato Toby, che adesso ha problemi con la legge e un gran bisogno di aiuto. Accantonata l’idea di non occuparsene, Sabrina va a prenderlo a New York e, spacciandosi per il membro di una Chiesa non meglio identificata, cerca l’occasione giusta per dirgli una verità troppo scomoda. Quel che accadrà sulla strada tra New York e Los Angeles, a quanto pare, è legato alla sensibilità di due persone che, come minimo, vorrebbero trovarsi altrove.
Il pregio di Duncan Tucker è quello di non volerci scandalizzare. Solo così, infatti, saremo in grado di vedere la storia dal punto di vista, assai scomodo, di Stanley/Sabrina e, superate le iniziali difficoltà dovute a diffidenza o prevenzione, di capire quale sia in realtà il vero obiettivo di «Transamerica». Che non è un film pro o contro il cambiamento di sesso, ma è sicuramente un film contro il più grave degli scandali in materia: l’indifferenza. Ci vuol poco a capire quale possa essere il primo rimedio per due persone che si trovino a dover affrontare un problema del genere: non perdersi e, rimanendo vicine, trasmettersi quel poco di calore che possa riscaldare il gelo del mondo. Un pensiero semplice espresso con chiarezza, che non nasconde né la tessera di qualche partito né l’iscrizione a qualche club.
Riesce veramente difficile immaginare «Transamerica» senza il contributo di un’attrice, Felicity Huffman, che è talmente brava da convincerci senza ombra di dubbio di essere un uomo sul punto di cambiare sesso. La candidatura all’Oscar come migliore attrice protagonista apre scenari interessanti, senz’altro più di quelli montani e campestri di Brokeback Mountain.