THE READER
DI FRANCESCO MININNI
E’ tutt’altro che facile parlare di «The Reader», il film che l’anglosassone Stephen Daldry («The Hours») ha tratto dal romanzo del tedesco Bernhard Schlink con sceneggiatura di un altro anglosassone D.O.C. come David Hare (regista de «Il mistero di Wetherby»), fotografia di due pezzi grossi come Roger Deakins e Chris Menges e soprattutto con prevalenza di capitali americani. Le necessità dello spettacolo hanno sicuramente interferito con la realizzazione del film, fruttando cinque nomination all’Oscar e un po’ di rimpianto per quel che avrebbe potuto essere se realizzato in piena libertà creativa. Perché temi importanti come il peso del passato, la ricerca di una verità dolorosa per tutti, le ragioni di un amore totalizzante e senza fine, la disperata consapevolezza di un discorso interrotto che lascia tutti soli e senza riconciliazione, nonostante le ottime intenzioni degli autori si fermano davanti al muro del melodramma che trasforma una questione universale in un discorso a due.
Michael Berg, quindicenne tedesco, ha un malore in strada ed è soccorso da Hanna. Dopo una lunga malattia, torna a cercarla per ringraziarla e, di punto in bianco, inizia con lei una relazione che segnerà la sua vita. Soprattutto nel momento in cui, dopo averla persa di vista, la ritroverà in un’aula di tribunale accusata di aver fatto parte delle SS.
«The Reader» significa «il lettore». Hanna, infatti, gradisce molto che Michael legga per lei libri di ogni genere. E lui, diventato uomo, le farà avere in carcere una serie di audiocassette nelle quali continua a leggere per lei. Soltanto alla fine sapremo che Hanna ha imparato a leggere e a scrivere in carcere, mentre prima era assolutamente analfabeta. Così gli autori evidenziano il fatto che tra le tante ragioni dell’ascesa del nazismo ci possa essere stata l’ignoranza degli strati più bassi della popolazione, terreno fertile per un potere autoritario e bisognoso di adesione senza condizioni al punto da giustificare un crimine di guerra con la semplice affermazione: «Erano gli ordini». Di fronte a questa sorpresa assoluta, Michael dovrebbe rappresentare la nuova generazione che, interrogandosi sul passato, ne trarrà indicazioni per il futuro. Almeno, è ciò che accadrebbe in condizioni normali. Ma siccome tra Michael e Hanna, soprattutto dal punto di vista di un quindicenne, c’è stato un amore incondizionato, il futuro del giovane non potrà che chiudersi all’amore (un matrimonio fallito) e aprirsi invece a una ricerca di comprensione e conciliazione. In questo senso dovrebbe intendersi la decisione finale di raccontare la storia alla figlia nella speranza di essere capito da quella che, in un certo senso, potrebbe essere una coetanea. Questo procedimento, però, porta Daldry a perdere di vista il tema generale e ad abbracciare l’idea melodrammatica dell’amore senza fine e nonostante tutto. Per questo nella prima parte c’è tanta insistenza sugli incontri amorosi di Hanna e Michael raccontati con stile ruvido e asciutto mentre nella seconda il racconto si smarrisce in fredde formule giuridiche che approdano a una consolatoria ricerca di autoassoluzione che sembra concepita appositamente per il pubblico statunitense.