The Place
Bisogna dare atto a Paolo Genovese di avere obiettivi che prima o poi lo affrancheranno dall’etichetta di «regista di commedie». Pur prendendo atto di equilibri ancora da aggiustare e soprattutto di finali (solitamente momenti topici di un film) da perfezionare, non esitiamo a dire che i suoi interessi vanno oltre l’intrattenimento e la riproposta di una compagnia (quasi) stabile di attori fedelissimi per spaziare in altri campi: la psicologia individuale e collettiva in «Una famiglia perfetta» e «Perfetti sconosciuti», una precisa questione morale riferita ai tempi che viviamo in The Place. Quest’ultimo, in particolare, va oltre la questione tematica e sceglie coraggiosamente un’ambientazione (un bar di Roma) da cui non si staccherà mai per tutta la durata del film. Praticamente una replica del palcoscenico teatrale con personaggi che entrano ed escono a turno proponendoci problemi di diversa entità che richiedono soluzioni definitive.
L’idea non è originale: Genovese si è dichiaratamente ispirato a una serie televisiva iniziata nel 2011 da Christopher Kubasik, «The Booth at the End», cambiando naturalmente personaggi e problematiche. Il risultato è particolarmente intrigante e soprattutto capace di far riflettere su problemi che potrebbero essere anche i nostri.
Nel bar The Place, a un tavolo in fondo al locale che rimarrà sempre lo stesso, siede un uomo (e Uomo si chiama proprio il personaggio) che riceve avventori che gli sottopongono problemi vari. C’è una donna che desidera riconquistare il marito. C’è una ragazza che vorrebbe essere più bella. C’è un meccanico che ambisce a passare una notte con la ragazza del poster attaccato nell’officina. C’è un padre disperato che farebbe qualunque cosa per far guarire il figlio dal cancro. C’è una suora che vorrebbe ritrovare Dio. C’è un poliziotto che desidera ricucire il rapporto con il figlio. C’è una donna anziana che vorrebbe che il marito guarisse dall’alzheimer. C’è un cieco che desidera riavere la vista.
Lui ascolta tutti, consulta il suo quadernone sul quale continua a prendere appunti e ad ognuno assegna un compito da svolgere, assicurando che, una volta espletato, il desiderio si realizzerà. Il problema è che le sue richieste non sono affatto innocenti o indolori: da violentare una donna a uccidere una bambina, da mettere una bomba in un locale a causare la separazione di una coppia felice, da rimanere incinta a insabbiare una denuncia. E a tutti ricorda che non lo stanno facendo per lui, ma per sé.
Certo, una domanda potrebbe essere chi sia effettivamente l’uomo interpretato da Valerio Mastandrea. E qui si potrebbero scatenare le ipotesi più fantasiose che alla fine fuorvierebbero dal tema principale. Un personaggio lo chiede anche: «Come faccio ad essere sicura che non sei il diavolo?». «Non puoi» risponde lui. E questo dovrebbe troncare il discorso, anche perché Genovese ci mette del suo con un finale (che ovviamente non riveliamo) che fa il possibile perché i dubbi rimangano tali aggiungendo ambiguità laddove si sarebbe preferita una scelta di chiarezza.
Ma il punto è un altro. In un film palesemente molto legato all’argomento trattato più che alla tecnica usata per rappresentarlo, quindi in un film che finisce per essere più degli attori che del regista, è essenziale capire che il tema principale non è dove siamo disposti ad arrivare per ottenere quel che vogliamo, ma quanto possa incidere sulle nostre scelte una coscienza troppo spesso messa a tacere. È qui che The Place trova la sua strada e, tutto sommato, la segue senza stereotipi ottenendo un risultato morale e non moralista.
Accanto a Mastandrea, sempre in scena, spiccano i più bravi: Giulia Lazzarini, Vinicio Marchioni, Rocco Papaleo. Non ci sembra da sottovalutare un film che si tiene stretti i propri difetti, ma ha il merito di fare le domande giuste. Le risposte dobbiamo darle noi.
THE PLACE di Paolo Genovese. Con Valerio Mastrandrea, Marco Giallini, Sabrina Ferilli, Rocco Papaleo, Alba Rohrwacher, Giulia Lazzarini. ITALIA 2017; Drammatico; Colore.