The Neon Demon
Nei titoli di testa di «The Neon Demon» si legge «un film di NWR». Così Nicolas Winding Refn, regista danese rinomato per l’estetica della violenza, è già arrivato al marchio, al monogramma (tipo Yves Saint-Laurent, tanto per mirare basso). Ritiene quindi che non ci sia neanche bisogno di nominarlo per riconoscerlo: bastano le iniziali, tanto è inconfondibile. Diciamo che un minimo di umiltà non guasterebbe. Anche perché «The Neon Demon», trattato malissimo a Cannes e amato soltanto da qualche irriducibile, non ci sembra proprio il film indicato per autoincensarsi e ritenersi al di sopra di ogni critica. Come tutti i formalisti, Winding Refn si è attestato sulla posizione di non preoccuparsi affatto di ciò che racconta dedicando ogni sforzo al come. E, di solito, un come senza perché non basta. Di più, in questo film rende talmente palesi le derivazioni e i precedenti da non consentire di ignorarli portando a raffronti che sono sempre a suo sfavore. In sostanza, il risultato di «The Neon Demon» è un film glaciale, piuttosto sgradevole, assai prevedibile e scontato, enormemente narcisista e troppo consapevole di sé (cioè di come lui stesso si considera) al punto da diventare ripetitivo, compiaciuto e troppo astratto per farci credere di parlare di qualcosa di reale.
Jesse, una ragazza apparentemente ingenua, priva di legami familiari, consapevole soltanto della propria bellezza, arriva a Los Angeles dalla Georgia e fa subito breccia nel cuore di Ruby, una truccatrice con le amicizie giuste. Così, in brevissimo tempo, è fotografata da Jack, star delle copertine, ed entra nelle grazie di un top designer. Il fatto che per ottenere questo non abbia bisogno di far niente, ma semplicemente di entrare in una stanza e farsi vedere, sconvolge le altre. Ruby, che la vorrebbe per sé ma non può averla, e le colleghe, siano esse attrici, modelle, fotomodelle e tutte quelle che per avere successo hanno dovuto correggere i propri difetti con interventi chirurgici. La bellezza artificiale non può tollerare la bellezza naturale.
Questo semplice assunto porta Winding Refn a perdere completamente la bussola e a trasformare «The Neon Demon» in un horror tecnologico nel quale il furore riversato nelle luci, nella fotografia, negli ambienti e nelle atmosfere malate azzera completamente il racconto. Il primo risultato è quello di un film dai ritmi lentissimi che non perde occasione per mettere a nudo i propri difetti. Poi i trascorsi. Si comincia dalla mitologia classica evocando Narciso, anche se Jesse non è esattamente innamorata della propria immagine ma è consapevole di essere una mina vagante in un mondo artificiale.
Poi «The Stepford Wives», il romanzo di Ira Levin tradotto in film da Bryan Forbes («La fabbrica delle mogli») e Frank Oz («La donna perfetta»), in cui le mogli perfette di una cittadina di provincia sono il risultato di una manipolazione da laboratorio. A seguire l’episodio «Terrore su Hollywood» da «Il giardino delle torture» di Freddie Francis, nel quale la perfezione delle star di Hollywood nasconde interventi chirurgici che le rende androidi. E forse persino «Il profumo della signora in nero» di Francesco Barilli, che trasforma una dissociazione mentale in uno sconvolgente episodio di stregoneria e cannibalismo. Già, il cannibalismo: Winding Refn non si fa mancare proprio niente e, dopo aver varcato la porta dell’horror estremizzato, affonda il pedale sulle efferatezze più raccapriccianti per insistere sul fatto che, invece di rappresentare un elemento di serenità ed elevazione interiore, la bellezza è qualcosa di ossessionante, qualcosa per la quale si può essere disposti persino ad uccidere.
E alla fine «The Neon Demon» diventa un miscuglio di simbolismi, crudeltà e violenze che dovrebbe portarci a sapere qualcosa di più sulla perdita dell’innocenza e sulla malvagità del mondo in cui viviamo. Invece ottiene un effetto diverso: a parte la noia, la sorpresa di trovare Keanu Reeves nei panni di un personaggio laido e minaccioso e la sorpresa ancora più grande della scelta di Elle Fanning («Super 8», «Somewhere», «Maleficent») per incarnare la bellezza assoluta. Una scelta assolutamente discutibile.