THE IRON LADY

DI FRANCESCO MININNI

E’ opportuno cominciare dalle credenziali dell’autrice: Phyllida Lloyd, prima di dirigere «The Iron Lady», aveva al suo attivo soltanto la favola musicale «Mamma mia!». Gran successo, ma poca sostanza. Quindi non deve stupire che il punto di vista adottato per raccontare cinquantatre anni della vita di Margaret Thatcher, la prima donna europea ad aver guidato un governo, sia essenzialmente quello della benevolenza, del rimpianto, della compassione. A trarre piacere da «The Iron Lady» non sarà il pubblico che gradisce gli approfondimento storici e le riflessioni ponderate sulla politica internazionale, ma piuttosto quello che preferisce commuoversi nel toccare con mano (non importa se con fondamenti di verità o meno) come i potenti della Terra siano in fin dei conti uomini e donne come tutti gli altri, con sentimenti, debolezze e nostalgia.

Si capisce subito dalle prime inquadrature quale sia la direzione voluta dalla sceneggiatura di Abi Morgan debitamente assecondata dalla Lloyd. Una Margaret Thatcher anziana e sola entra in un market e acquista mezzo litro di latte, prendendo atto dell’aumento del prezzo. Poi, a casa, ne discute col marito Denis che, sapremo quasi subito, è morto da anni. Lei, però, continua a vederlo e a parlarci, quasi rifiutando di prendere atto dell’inevitabile. Il film ha da subito una cifra sentimentale e crepuscolare che i frequenti flashback sulla vita pubblica, sull’entrata in politica, sulla nomina, su un premierato che durerà undici anni, sulla crisi economica, sulle liberalizzazioni, sulla guerra delle Falkland e sull’inevitabile uscita di scena non cambieranno mai in analisi storica, politica e epocale. Phyllida Lloyd preferisce adottare il punto di vista della storia vista dal buco della serratura, lasciandoci nel dubbio se questa sorta di demenza senile della signora Thatcher sia qualcosa di comprovato dai fatti o soltanto una trovata drammaturgica per conseguire il risultato prefisso.

Di certo ne esce l’immagine di una donna che, ben decisa a sostenere le proprie certezze a livello pubblico, ha sacrificato una parte consistente della propria vita privata. Ma chi si aspettasse un giudizio storico sulla politica talvolta azzardata di Margaret Thatcher, tornerà a casa senza risposta. «The Iron Lady» sembra un’operazione commercialmente riuscita cui non si debba chiedere altro che una buona tenuta drammatica e una confezione accurata. Se non che, ad interpretare Margaret Thatcher è stata chiamata Meryl Streep. La cosa curiosa è che, dopo aver subito una sorta di ringiovanimento in «Mamma mia!», per mano della stessa regista si trasforma in una credibilissima anziana senza incappare negli ostacoli di un trucco pesante come Di Caprio in «J. Edgar». E soprattutto si dimostra capace, lei americana, di parlare un inglese praticamente perfetto diventando britannica a tutti gli effetti. Ecco, se c’è qualcosa che rende «The Iron Lady» un film meritevole di una segnalazione, è proprio la notevole interpretazione di una protagonista che, nonostante la lunga esperienza e i molti personaggi interpretati, si dimostra sempre in grado di riservare qualche sorpresa. Al suo fianco Jim Broadbent, un Denis quasi rassegnato al ruolo di fantasma senza pace, cui tocca quella che è di gran lunga la scena più ruffiana e involontariamente comica del film: quando cioè Margaret si decide a lasciarlo andare e lo vede allontanarsi portando una valigia lungo un corridoio fino a raggiungere la luce. Tutto questo rende il film più simile a «Ghost Whisperer» e «Paranormal Activity» che non, come avrebbe dovuto essere, alla disamina attenta e documentata di un personaggio molto controverso. Ci viene da pensare che per Phyllida Lloyd sarebbe stata una missione impossibile.

THE IRON LADY (Id.)di Phyllida Lloyd. Con Meryl Streep, Jim Broadbent, Alexandra Roach, Harry Lloyd, Olivia Colman, Anthony Head, Richard E. Grant. GB/F 2011; Drammatico; Colore