THE BURNING PLAIN/IL CONFINE DELLA SOLITUDINE
DI FRANCESCO MININNI
Proviamo a dare un senso a questa vita. Il verso della canzone di Vasco Rossi sembra adattarsi perfettamente alla poetica di Guillermo Arriaga che, dopo aver scritto per Inarritu «Amores Perros», «24 grammi» e «Babel», con «The Burning Plain» tenta il passaggio alla regia. C’è da dire di positivo che, indipendentemente dai nomi presenti nel cast o dal fatto che in questo caso Charlize Theron oltre che protagonista sia anche produttrice, Arriaga porta avanti il proprio discorso senza curarsi di problemi di resa spettacolare o di concessioni al grande pubblico. C’è da dire di negativo che la meticolosa intersezione dei piani temporali attraverso un montaggio complesso e virtuosistico, la stessa che aveva rappresentato il dato saliente di «21 grammi», è un espediente che, se ripetuto, induce al sospetto. A parte il fatto che «21 grammi» dava la precisa sensazione che, se montato con scansione temporale tradizionale, avrebbe mostrato tutti i limiti di un ordinario melodramma esistenziale, appare evidente che nel momento in cui ci si rende conto che «The Burning Plain» ripropone il medesimo espediente, tutto apparirà più prevedibile e meno suscettibile di sorprese. Subentra però un elemento che induce a riflettere: «The Burning Plain» non nasconde affatto la propria appartenenza al genere melodramma familiare e, a differenza di «21 grammi», tenta di imboccare una strada più propositiva con una conclusione che, senza essere lieta nel senso tradizionale del termine, mostra l’evidente intenzione di ricucire le ferite del passato con una scelta coraggiosa. In un contesto, lo ribadiamo, in cui il rimescolamento temporale è sicuramente un indizio di quanto il tempo possa essere ingannevole, ma anche un trucco per rendere una storia più affascinante, drammatica o misteriosa di quanto non lo sarebbe se raccontata in successione tradizionale.
Le ferite da far guarire al confine del New Mexico sono molte. Gina, madre di famiglia, convive con un’operazione per un tumore al seno che le ha lasciato cicatrici e paure. Sua figlia Mariana convive con un difficile rapporto materno («La amo ma non mi piace»). Nick, padre di famiglia, ama Gina e cerca di darle la serenità di cui ha bisogno. Ma un giorno la roulotte in cui si incontrano prende fuoco e i due amanti muoiono bruciati. Il privato diventa pubblico. Mariana, forte e confusa, comincia a frequentare Santiago, figlio di Nick. Dalla loro relazione nasce Maria, che la madre abbandona lasciando il paese. Tutto questo dovrà essere ricucito, anni dopo, con un semplice atto di coraggio.
La forza trainante di «The Burning Plain» è il gran bisogno d’amore che c’è al mondo e, come accade spesso, la sua confusa, caotica applicazione. Ma è pur sempre amore, la forza trainante dell’universo, e sarebbe un peccato sprecarlo appigliandosi a luoghi comuni e convinzioni ancestrali. Il che non vuol dire abiurare a tutto e accettare il caos, ma semplicemente, in presenza di situazioni che potrebbero degenerare in odio o violenza, scegliere la vita. Arriaga racconta questo compiacendosi molto delle acrobazie narrative e accumulando episodi che alla fine invocano lo sfoltimento. Ha però a disposizione tre attrici in stato di grazia. In ordine di bravura Jennifer Lawrence (Mariana da ragazza), Charlize Theron (Mariana da adulta) e Kim Basinger (Gina), che riescono con la loro apparente accettazione passiva degli eventi a riservare più sorprese di quanto non faccia la sceneggiatura. Arriaga deve anzi esser loro grato per essere riuscite a coprire qualche buco del racconto. Perché lui è molto riconoscibile come scrittore per immagini, mentre come regista deve ancora progredire e smettere di assomigliare a qualcun’altro.