Tenet
Che si tratti di memoria (Memento), di dimensioni parallele o sovrapposte (Inception e Interstellar), di finte sincronie (Dunkirk), il tempo sembra realmente il principale interesse di Nolan, che lo utilizza in forma sempre non lineare per destabilizzare le eventuali certezze del pubblico e per creare un altrove che non dia punti di riferimento. È partendo da qui che dovremmo affrontare il suo ultimo film, Tenet, secondo titolo in latino della sua carriera, apparentemente un film di spionaggio internazionale, apparentemente una rilettura di tante imprese di James Bond 007, apparentemente un modo per convincerci che qualunque cosa si faccia non sarà mai possibile mantenere il controllo o impedire che qualcosa accada. E sono già tre apparentemente. L’impressione che ci resta, a film finito, è quella di un grande interesse per il come e per il quando, ma pochissimo per il dove e soprattutto per il perché.
L’agente al centro dell’azione non ha identità, neanche un nomignolo con cui poterlo chiamare. Tutti gli altri personaggi invece sì. A nessuno di essi Nolan riserva particolare attenzione di costruzione, definizione psicologica o personalità. Si tratta di simulacri di un’umanità ormai allo sbando che sembra non meritare altro che l’estinzione. Dunque, l’agente entra in azione a Kiev dove sventa un attentato in un teatro dell’opera. Poi, di luogo in luogo, si mette sulle tracce del miliardario russo Sator per impedirgli di portare a compimento un piano che vorrebbe dire Armageddon. E qui subentra la problematica centrale: ottenuta la parola chiave (Tenet) per aprire le porte giuste e anche qualcuna sbagliata, l’agente scopre che la guerra da sventare viene dal futuro, dove è stato scoperto un procedimento che permette di invertire il flusso temporale manipolando l’entropia di cose e persone. Naturalmente il processo è reversibile e, rispettando certe regole base, si può andare nel futuro per modificare gli effetti delle azioni del passato. Niente di semplice.
Ancora meno semplice se si stanno a sentire i discorsi dei personaggi e quindi di Nolan, che ha sempre trovato interessante complicare le proprie storie magari per evitare che qualche banalità di sceneggiatura diventasse troppo evidente. Tenet non cambia sistema. Una storia sostanzialmente lineare sembra incredibilmente contorta per tutta la teoria che i personaggi mettono in tavola a bella posta perché le idee chiare si scuriscano quanto possibile. Alla fine, messe da parte le velleità esistenziali, bisogna accontentarsi di una confezione extra lusso dove la scansione e il montaggio impediscono la distrazione e tengono desta l’attenzione fino in fondo. Un fondo che in realtà non c’è, perché è difficilissimo dire quale sia il finale del film al di là di quel che dicono i protagonisti.
Anzi, è lecito pensare che lasciare tutto in sospeso fosse proprio una priorità di Nolan: non certo per aprire la strada a un eventuale seguito, ma proprio perché il tipo di storia narrata avrebbe ottenuto un impatto maggiore senza una conclusione precisa e matematica. Diciamo quindi che manteniamo qualche dubbio sulla effettiva grandezza di Nolan senza nulla togliere al suo magistero tecnico e alla sua capacità di creare misteri che non saranno mai svelati.
Quanto al titolo, Tenet, fa parte di un quadro magico che risale a Pompei e che poi è ricomparso in Inghilterra, in Francia, a Roma, a Siena, in Ungheria e in Svizzera. Il quadro è composto dalle parole SATOR, AREPO, TENET, OPERA, ROTAS: cinque parole che, con una palindroma al centro, formano un palindromo misterioso. Noi sappiamo che Sator è il russo megalomane, Rotas la sua azienda, Opera la location dell’inizio del film, Arepo il falsario dei Goya. E Tenet il passepartout per il futuro (o il passato, che differenza fa?). Il resto è cabala.
TENET (Id.) di Christopher Nolan.
Con John David Washington, Robert Pattinson, Elizabeth Debicki, Kenneth Branagh, Dimple Kapadia, Michael Caine.
USA 2020; Thriller; Colore