SOLO UN PADRE
DI FRANCESCO MININNI
Carlo, dermatologo trentenne, deve occuparsi da solo della figlia Sofia, dieci mesi, dal momento che sua moglie Melissa è morta di parto. Lo aiutano i genitori, occasionalmente qualche amico, ma il lavoro grosso tocca a lui. Camille, ricercatrice francese in cerca di un lavoro, si offre di fare da baby-sitter. E intanto c’è chi vorrebbe accalappiarlo, chi regge il sacco, chi vive di battute di spirito. È ovvio che è proprio Camille la nuova donna della vita di Carlo, che prima di saltare il fosso dovrà però guardare indietro e fare un esame di coscienza.
Chi parla di cinema italiano buonista, interessato soltanto alle solite vicende familiari, falsamente psicologico e alla fine sempre più indirizzato verso la tecnica delle fiction televisive, lo fa spesso prendendosela con i film sbagliati. È evidente che film come «Fuori dal mondo», «La stanza del figlio», «Luce dei miei occhi» e «La giusta distanza» non possono essere messi sullo stesso piano di «Tre metri sopra il cielo», «Ho voglia di te», «Scusa ma ti chiamo amore» o «Notte prima degli esami». E un film come «Solo un padre» ci può aiutare a capire qualche differenza. Diretto da Luca Lucini (guarda un po’, quello di «Tre metri sopra il cielo», «L’uomo perfetto» e «Amore, bugie e calcetto»), è ispirato a un romanzo di Nick Earls dal titolo «Le avventure semiserie di un ragazzo padre». Trasportato in scenari italiani, diventa una commedia con venature drammatiche. Niente di male: ci sono grandi commedie che si occupano di problemi molto seri. E in «Solo un padre» non si può dire che manchino i problemi: la necessità di trovare il giusto equilibrio tra vita privata ed esigenze lavorative, la difficoltà di uscire da una storia complessa alla ricerca di una nuova serenità, la difficile convivenza tra richiami della coscienza e attrattive mondane. Eccetera eccetera. Il problema vero è che a una lettura anche superficiale appare chiaro come Lucini non abbia alcuna intenzione di andare al cuore dei problemi sollevati. A dimostrazione del fatto che le intenzioni degli autori sono altre, basta esaminare rapidamente il personaggio (inutile) di Caterina. Amica di famiglia, recentemente piantata dal grande amore, convinta che Carlo possa essere seriamente interessato ad avviare un rapporto con lei, soprattutto legatissima a Giulio, che non è una persona ma un gatto cui è stato dato il nome dell’amore perduto. Come e perché Carlo si ritrovi a fare pipì sul gatto, ad asciugarlo con un accappatoio di Caterina e infine ad investirlo con l’auto rischiando seriamente di ucciderlo, poco importa. Importa invece che questa sequenza di avvenimenti sia praticamente una replica di ciò che accade con un cane in «Tutti pazzi per Mary». Il che significa che «Solo un padre», con tutte le buone intenzioni di commedia di costume con approfondimento di un problema di quotidiana attualità, è in realtà poco più di una commedia ruffiana che finge serietà per puntare invece al gradimento del grande pubblico. È evidente che la piccola Sofia, interpretata da due gemelline che si alternavano sul set, è deliziosa. Ma non basta a far passare sotto silenzio una galleria di personaggi adulti come minimo prevedibili e spesso caricaturali che non servono alla verità ma soltanto alla cassetta.
Luca Argentero forse conferma le buone impressioni suscitate in «Saturno contro» e «Lezioni di cioccolato», ma dovrebbe cambiare personaggio per non indurre sospetti di unidirezionalità. L’altro Luca, cioè Lucini, aveva lasciato miglior ricordo di sé in «Amore, bugie e calcetto», dove le strizzate d’occhio al pubblico erano altrettante, ma anche più giustificate. Meglio cambiare il titolo da «Solo un padre» a «Solo un film».