Soli nel deserto: «EL ALAMEIN»
Il rischio di un’operazione come «El Alamein» è interamente legata allo stile dell’autore. Monteleone, evidentemente forte di esperienze teatrali, punta tutto sulle facce dei soldati per raccontare una lunga agonia dai toni a tratti quasi surreali. Ma così facendo, accantonando a priori ogni supporto di azione bellica e allungando inevitabilmente i tempi del racconto, va incontro al rischio della lentezza dovuta a silenzi e ripetizioni. E non bisogna trascurare il fatto che, pur adottando un tipo di racconto antitradizionale teoricamente giusto, Monteleone non riesce ad evitare il luogo comune in certi rapporti tra i personaggi (lo studente universitario e il popolano, l’ufficiale e il sottoposto) e nella vita di trincea. Da una parte si torna con la memoria ai classici di Milestone («All’Ovest niente di nuovo») e Kubrick («Orizzonti di gloria»). Dall’altra non si può non pensare a un altro contingente dimenticato, i soldati di «Mediterraneo» di Salvatores, che per loro fortuna si trovarono in condizioni completamente diverse.
Tutto questo per dire che «El Alamein» è tutt’altro che un film sbagliato, soprattutto nella corretta definizione dei caratteri dei diversi personaggi e in qualche episodio (l’arrivo del camion con il cavallo di Mussolini, la caduta di una pioggia liberatoria) francamente toccante: ma non è comunque quel film-verità sconvolgente che qualcuno poteva augurarsi. Tra gli attori si segnalano Paolo Briguglia, Emilio Solfrizzi e Pierfrancesco Favino, mentre le apparizioni fulminee di Silvio Orlando e Roberto Citran (un generale e un colonnello) diventano un involontario tributo a differenti retoriche sulla figura e sul ruolo dell’ufficiale.
E mentre verrebbe da rattristarsi e indignarsi per un inutile massacro, la domanda di fondo resta un’altra, molto più impegnativa: esistono massacri utili?
EL ALAMEIN / LA LINEA DEL FUOCO di Enzo Monteleone. Con Paolo Briguglia, Pierfrancesco Favino, Emilio Solfrizzi