«SIN CITY»

DI FRANCESCO MININNIC’è una sottile linea rossa che separa «Sin City» di Robert Rodriguez dal noir che molti invocano come referente ideologico e visivo. I personaggi del noir, fossero poliziotti o malviventi, facevano riferimento a un codice di comportamento, labile ma presente. I personaggi di «Sin City», più che ispirato addirittura modellato sul fumetto di Frank Miller coautore della sceneggiatura, passano ogni limite con assoluta naturalezza.

Tra il noir e Miller, a ben guardare, l’unico dato comune è il fatalismo: con la differenza che quello del noir permeava di sé le vie della città, mentre quello di Miller si diffonde nelle tavole di un fumetto. Iperviolento, iperrealistico, dichiaratamente falso, il film di Rodriguez, regista molto portato a raccontare storie eccessive, non pone dilemmi di ordine etico: la sua violenza è volutamente debordante e ancor più volutamente assurda, priva di connotati che possano indurre all’emulazione. I suoi personaggi possono ricordare molti precedenti cinematografici (pensiamo a Bruce Willis che rifà Humphrey Bogart), ma nessun modello reale in cui il pubblico possa identificarsi.

«Sin City» recupera il rapporto con il fumetto, ultimamente di grande diffusione e di altrettanto successo, ponendosi come alternativa grafica a storie narrate in modo realistico. In pratica, tutti gli attori hanno recitato davanti a uno schermo verde. Gli sfondi, la città, le strade, gli effetti speciali sono stati inseriti con il computer in un secondo tempo. Se questo procedimento in altri casi (pensiamo a «Star Wars episodio I – La minaccia fantasma») ha dato vita a un risultato di grande freddezza a scapito dell’azione e dell’avventura, in «Sin City» ottiene un effetto notevole: ogni inquadratura diventa la tavola di un fumetto e a nessuno interessa che tutto sembri vero. Anzi, più è finto, meglio è.

Come il fumetto di Miller, anche il film si compone di più storie incrociate. C’è un killer che ammazza le belle donne. C’è un bestione sfigurato che prende a cuore le sorti di una prostituta che è stata gentile con lui. C’è un poliziotto che dà la caccia a un miliardario che violenta e uccide bambine. E c’è Jackie Boy, poliziotto corrotto, che perde la testa (letteralmente) e anche da morto continua a tormentare Dwight con feroce sarcasmo.

È evidente che «Sin City» non cerca né credibilità né filo logico né misura. Rodriguez e Miller cercano soltanto di ricomporre le tavole del fumetto sul grande schermo e in questo senso ottengono un risultato di notevole rilevanza visiva. Gli attori, da Bruce Willis a Benicio Del Toro, da Clive Owen a Mickey Rourke, da Josh Hartnett a Jessica Alba, si prestano al gioco trasformandosi in immagini senza anima se non quella disegnata con l’inchiostro di china. Se poi tutto questo abbia un’effettiva valenza artistica, non sapremmo dire. Sappiamo però che per inquadrare «Sin City» ci sono venute in mente due definizioni: sublime nella sua inutilità, geniale nella sua esibizione di superfluo.

SIN CITY (Id.) di Robert Rodriguez. Con Bruce Willis, Mickey Rourke, Benicio Del Toro, Clive Owen, Jessica Alba. USA 2005; Thriller; Bianco e nero/Colore