Sieranevada

I valori della famiglia, la caduta del comunismo, i rapporti tra generazioni, le difficoltà di comunicazione, una riunione celebrativa che diventa opportunità di chiarificazione: tutto questo non suona nuovo. I film corali di Robert Altman (da «Nashville» a «Un matrimonio» a «America oggi»), quelli di Ettore Scola (da «La terrazza» a «La cena»), persino «Perfetti sconosciuti» di Paolo Genovese hanno frequentato tali argomenti. E, più indietro, «La regola del gioco» di Jean Renoir, «Pranzo alle otto» di George Cukor e molti altri. Eppure, nonostante i precedenti, ogni volta che qualcuno utilizza il contenitore non soltanto per servirsi di qualcosa di già esistente ma per contribuire con qualche riflessione sensata, difficilmente si avverte la necessità di rimarcare che «c’era già». Accade adesso con il rumeno Cristi Puiu e con il suo Sieranevada, che è sia uno spaccato di storia dell’Europa dell’Est sia un’impresa tecnica non indifferente sia un esempio di approfondimento psicologico tutt’altro che banale.

La famiglia si riunisce per la commemorazione del padre a quaranta giorni dalla sua scomparsa. Tutti, anche gli indesiderati. E, in considerazione del notevole ritardo del pope che deve officiare la cerimonia, c’è tempo per parlare, per litigare, per confrontarsi e scoprire come ognuno viva una propria esistenza non necessariamente connessa con le altre. C’è chi cerca su Internet le verità sull’11 settembre, chi cerca nel proprio passato le verità su di sé, chi è ostinatamente aggrappato a valori passati, chi si accontenta del consumismo (diciamo il nuovo arrivato nel paese), chi vorrebbe far finta di niente e chi invece coglie l’occasione per una sorta di confessione molto simile all’autoanalisi. Come dire che sulle cose della vita, nella difficoltà di un’analisi serena e obiettiva, qualcuno ride e qualcuno piange.

Sieranevada è un titolo difficile da decrittare. Puiu ha evocato il western, l’avventura (cioè il mito dell’America) ma anche i bianchi casermoni di Bucarest che possono far pensare a cime innevate. Ma ha anche detto che voleva un titolo che la distribuzione internazionale avrebbe trovato difficile poter cambiare. La sua sincerità ci fa capire come la verità stia nel mezzo: un po’ di evocazione e un po’ di utilitarismo associato a un esercizio di umorismo dell’Est. Interessa di più la modalità di rappresentazione, perché offre già una chiave di lettura importante. Due scene in esterni, una all’inizio e una alla fine, dove c’è sempre qualcuno che rimane bloccato nel traffico da un’altra macchina che ne impedisce il passaggio. Tutto il resto è all’interno dell’appartamento, dove Puiu si muove di preferenza con piani fissi molto lunghi, con impercettibili movimenti di macchina e con una serie di piani sequenza che accompagnano da una stanza all’altra passando per l’ingresso e il corridoio. In sostanza, vuole far passare il messaggio che in quella casa (di rimbalzo in Romania) sono tutti prigionieri. Di se stessi, di un passato molto difficile da superare e di un futuro altrettanto difficile da raggiungere. Così il messaggio politico arriva forte e chiaro: il comunismo sarà anche caduto, ma le alternative non sembrano altrettanto forti da costituire un vero punto d’appoggio. E Puiu, associandosi alla tendenza autocritica del più recente cinema rumeno (Cristian Mungiu in testa), non esita a esporre i propri dubbi servendosi di un quadro familiare che comprende chi sa e tace, chi viene a sapere e piange, chi non sa e non vuol sapere, chi si aggrappa al passato come unico faro nella notte, chi procede a testa bassa credendo di cambiare le cose e chi, stanco di tutto, trova una buona idea rifugiarsi in una risata liberatoria. I problemi, naturalmente, rimarranno tali per tutti. Perché ormai è cosa nota: non si cambia la Storia con un colpo di spugna.

SIERANEVADA (Id.) di Cristi Puiu. Con Mimi Branescu, Judith State, Bogdan Dumitrache, Sorin Medeleni, Ana Ciontea, Dana Dogaru. F/RO/BIH 2017; Drammatico; Colore.