SICKO
DI FRANCESCO MININNI
Michael Moore sostiene a ragione che «Bowling a Columbine» trattava della facilità di entrare in possesso di un’arma negli Stati Uniti. Poi sostiene a torto che «Fahrenheit 9/11» ha spiegato le ragioni di una guerra non giusta, quando sappiamo bene come il tema di fondo fosse la dimostrazione dell’inadeguatezza (che è un termine anche troppo benevolo) del presidente Bush. Oggi sostiene a ragione che «Sicko» intende far vedere al mondo quanto sia ingiusto e, diciamolo pure, canagliesco il sistema sanitario americano. Quindi, due ragioni e un torto riequilibrano la vis polemica di un autore che, tendendo per natura al paradosso e al grottesco ma soprattutto al provocatorio, rischia talvolta di ingigantire cose già di per sé enormi e di conseguenza di ottenere risultati appariscenti ma tutt’altro che sostanziali.
Diciamo subito che non è facile giudicare «Sicko» come film, dal momento che la sua struttura di inchiesta in giro per il mondo ha più le caratteristiche di uno speciale televisivo da trasmettere negli spazi adeguati. D’altronde, a Michael Moore non interessano i problemi formali, che sarebbero di difficile soluzione nel momento in cui le sue argomentazioni si basano su testimonianze, blitz nei luoghi più impensati, statistiche, immagini di repertorio e provocazioni di ogni genere. A Moore interessa andare al cuore del problema, sacrificando volentieri la bella inquadratura o il movimento di macchina elegante. Se dunque affrontiamo «Sicko» per quel che è, un documento divulgativo sulle storture del sistema sanitario americano, non dovremo preoccuparci altro che della sostanza.
Nel suo incedere, diciamo pure con passo pesante, nei meandri della sanità, Moore tiene a precisare che il grande problema degli Stati Uniti è quello di un servizio interamente privatizzato e affidato al potere di compagnie assicurative apparentemente solidissime. La realtà, come già sapevamo anche se non con tutti i particolari che Moore evidenzia, è che la solidità discende dal fatto che la prima preoccupazione dell’assicurazione è quella di garantirsi ogni possibile rientro economico: dall’entità dei premi all’annullamento di polizze «irregolari» alla mancata copertura di malattie o interventi che, secondo loro, rientrano in categorie non assicurabili. E intanto la gente muore. Ma se muore un senzatetto privo di assicurazione è un conto: altro è se a morire è un assicurato cui sia stata negata la necessaria copertura. Così, tra case perdute, famiglie rovinate e un diffuso senso di drammatica impotenza, Moore prima individua in Richard Nixon il primo responsabile della situazione attuale (fu infatti lui ad approvare la nascita del sistema assicurativo), poi spara a zero su quanti, avendone la possibilità, non hanno fatto niente per cambiare le cose, infine arriva al clou (drammatico e grottesco in ugual misura) del film: la scoperta che nella base di Guantanamo a Cuba i prigionieri politici (in pratica i terroristi di Al Qaeda) hanno diritto ad assistenza sanitaria gratuita e altamente qualificata. Non gli resta quindi che imbarcare alcuni soccorritori dell’11 settembre, ammalati senza diritti, e partire per Guantanamo. Non entrerà nella base: ma in un ospedale di quel «covo di comunisti» ognuno riceverà gratuitamente le cure necessarie.
Forse talvolta Moore è irritante, soprattutto quando finge di stupirsi di cose che conosce benissimo. Ma è un fatto che l’amministrazione Bush lo ha messo sotto inchiesta per aver girato a Cuba senza rispettare l’embargo. Come dire: dovevano pur accusarlo di qualcosa che non fosse reato di opinione.
SICKO (Id.) di Michael Moore. USA 2007; Film-inchiesta; Colore